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Blitz Zeus

Catania, Cristian Parisi confessa in aula il tentato omicidio del 2018. «Ho sparato a mio cognato per vendicare mio figlio».

Una confessione in piena regola. Che irrompe nel processo che ha portato alla sbarra i boss dei Cursoti-Milanesi

Di Laura Distefano |

Una confessione in piena regola. Che irrompe nel processo, troncone abbreviato, frutto dell’indagine Zeus che ha portato alla sbarra i boss dei Cursoti-Milanesi. Nicola Christian Parisi chiede di parlare al gup Luigi Barone. E si assume la paternità del tentato omicidio ai danni del cognato Giuseppe La Placa, “u sfregiatu”. Un fatto di sangue rimasto senza colpevoli che risale alla notte del 12 novembre 2018, vicino a una sala giochi a San Berillo nuovo.

Otto anni dopo Parisi decide di vuotare il sacco. Anche se il racconto parte da lontano. «Il pubblico ministero, la volta scorsa, ha detto per rafforzare l’accusa contro di me, che io mi sono giocato, venduto La Placa, marito di mia sorella». Parisi avesse fatto avere a Cristian Monaco, ritenuto un affiliato del clan Cappello-Bonaccorsi, una registrazione. «Ci sono delle intercettazioni dove per colpire la mia persona La Placa aveva escogitato di toccare mio fratello e mio papà. E quindi ho voluto far capire che persona è: un doppiogiochista che avrebbe fatto succedere veramente una catastrofe».

Definita la premessa, Parisi va al nodo cruciale: «Ora parliamo dell’ottobre 2018: io sono stato scarcerato all’improvviso, mi avevano dato dieci mesi di vita per un tumore maligno. Nel 2016, partiamo da lì, sono stato scarcerato assieme a La Placa di una custodia cautelare per scadenza nei termini. La Placa è stato scarcerato libero, io sono rimasto in carcere perché stavo scontando un tentato omicidio. Quando La Placa uscì si è permesso il lusso di umiliare, insultare e maltrattare mio figlio Antonio, all’epoca ventenne. Oggi mio figlio non c’è più (è morto in un incidente subacqueo l’anno scorso, ndr)». Poi arriva la confessione, cruda: «Io ho dormito 730 giorni, due anni, con il pensiero di uccidere Giuseppe La Placa. Io quella notte, alle cinque di notte, mi feci una puntura di morfina ma ero lucido. Io presi lo scooter, impugnai una pistola, una calibro 45, una Glock semiautomaica, 13 colpi nel serbatoio, io gliene sparai nove». Non sarebbe stata causale nemmeno l’arma scelta: «Misi anche la firma». L’imputato continua: «Non l’ho voluto uccidere, mi sono fermato perché mi è venuto davanti Antonio. Io l’ho fatto per vendicare mio figlio. Quindi il movente è questo, non è niente di mafioso, non è perché ha cambiato famiglia». La Placa dopo un passato nei Cappello-Bonaccorsi sarebbe tornato ai Cursoti-Milanesi. Parisi, inoltre, smentisce anche un suo cambio di casacca: «Io sono nato con Rosario Piterà (ormai deceduto), ma di fatto io mi dissocio, io ho chiuso con il passato».

Vedremo se queste dichiarazioni avranno un peso nel processo. L’avvocato Tommaso Manduca commenta: «Ritengo che le dichiarazioni di Parisi verranno valutate positivamente e attentamente dal gip Barone e confido nell’esclusione dell’articolo 74 per il mio assistito e per altri coimputati».

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