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L'intervento

Vincolo etnoantropologico per tutelare le cave di pomice di Lipari

Tre istituzioni, Museimpresa, Federculture e Touring Club Italiano decidono di scendere in campo dando la disponibilità a costruire un progetto scientifico finalizzato alla realizzazione di un Parco archeologico minerario, nonché di un Museo dell’industria della pomice

Di Daniele Malfitana* |

È stato Gian Antonio Stella sulle pagine del “Corriere della Sera” dello scorso 31 agosto a portare in primissimo piano l’operazione di “rifunzionalizzazione” della cave di pomice dell’isola di Lipari destinate ad ospitare, secondo una nuova “visione”, un complesso turistico a cinque stelle. Ma il caldo agostano, che opprime la Sicilia da mesi, aveva fatto dimenticare quasi tutto.Almeno fino a pochi giorni fa, quando tre istituzioni – Museimpresa con Antonio Calabrò, Federculture con Antonio Cancellato e, infine, il Touring Club Italiano con Franco Iseppi – decidono di scendere in campo dando la disponibilità a costruire un progetto scientifico finalizzato alla realizzazione di un Parco archeologico minerario, nonché di un Museo dell’industria della pomice. Dunque, non un hotel di lusso, bensì una più meditata riqualificazione paesaggistica, con un parco di archeologia industriale capace di ricostruire lacerti di storia operosa dell’isola e di ampliare le opportunità turistico-culturali dei soggiorni eoliani.

Credo superfluo ribadire anche qui l’appello lanciato da Stella e ripreso da Calabrò, Cancellato ed Iseppi: all’isola non serve un nuovo, colossale albergo a strapiombo sul mare. Serve, invece, la restituzione di un ulteriore pezzo della sua lunga storia e in particolare di quella storia che è oggetto dell’“archeologia della produzione”, ovvero quell’intricato sistema di azioni, dietro cui è sempre l’uomo, che partendo dalla materia prima conduce al prodotto finale destinato a mercati vicini e lontani. Sappiamo, infatti, che da quelle cave di pomici sarà possibile ricostruire “biografie” di uomini e di oggetti che costituiscono materia prima per chi voglia conoscere il mondo della cultura materiale, dall’antico al contemporaneo.Vorrei rimanere all’ambito archeologico con qualche altra osservazione.

L’importanza di Luigi Bernabò Brea

Stella e Calabrò dimenticano, nel loro argomentare, di fare cenno ad una figura importante della storia dell’isola, cui, dopo Paolo Orsi, a lungo Soprintendente di Siracusa, la Sicilia tutta, Eolie incluse, deve molto: Luigi Bernabò Brea. Non si può parlare di Lipari senza fare cenno all’opera di Bernabò Brea. Genovese, allievo della Scuola archeologica italiana di Atene, dopo gli scavi alle Arene Candide, nel 1941 giunge in Sicilia reggendo per oltre trenta anni la Soprintendenza della Sicilia orientale (isole incluse). Nel 1946 mette piede per la prima volta a Lipari dove dà vita, insieme a Madeleine Cavalier, ad uno straordinario lavoro di ricerca, passando a setaccio tutta la storia dell’arcipelago eoliano dal neolitico ai giorni nostri ed avviando un profondo lavoro di coinvolgimento delle comunità locali. Se oggi i tanti turisti che affollano d’estate le isole godendo del bellissimo mare possono visitare le aree archeologiche del Castello di Lipari, di Panarea, di Filicudi, Salina, Stromboli, ecc. lo si deve proprio a Luigi Bernabò Brea; se il Museo archeologico al Castello di Lipari, giustamente a lui intitolato, rappresenta, nonostante l’evoluzione della ricerca museologica e museografica, un museo di straordinaria forza didattica, nonché palestra di formazione per anni degli allievi della Scuola di specializzazione in archeologia dell’ateneo catanese, lo dobbiamo proprio a lui. E grazie all’opera instancabile di Bernabò Brea tanti siti archeologici siciliani sono stati salvati dallo strapotere dell’overdose finanziaria della Cassa del Mezzogiorno che a partire dagli anni ’50 ha riempito un Sud assetato di risorse consentendo di edificare ovunque, in barba a leggi e divieti. Bernabò Brea a tutto questo processo si oppose con straordinaria intelligenza dando vita a collaborazioni scientifiche, nazionali ed internazionali, aprendo centinaia di cantieri di scavo in parti diverse dell’isola, contrastando con l’amore per la conoscenza, l’avanzata del cemento e smorzando i desideri di avidi costruttori.

Grazie a questo approccio, Bernabò Brea salvò tantissimo in Sicilia: basti solo pensare all’isolotto di Thapsos, a Megara Hyblaea, etc. Superfluo ribadire lo sdegno che avrebbe provato oggi lo studioso.È necessario allora intervenire rapidamente per capire le ragioni dell’annullamento dal Tar siciliano del vincolo etnoantropologico proposto dalla Soprintendenza di Messina e perché il progetto del parco di archeologia industriale, sbandierato come cantierabile dalla Regione Sicilia nel luglio 2021 sia stato, invece, accantonato a favore di altre proposte. Probabilmente ciò è avvenuto perché – come si evince dalla rilettura della sentenza del Tar – nessuno ha evidenziato che la pomice estratta nella baia di Porticello, così come l’ossidiana, non hanno meno di settanta anni di esistenza, bensì sono materie prime vecchie migliaia di anni. Bernabò Brea lo avrebbe sicuramente ben spiegato a chi avesse voluto saperne di più, perché la pomice è parte della storia antica e moderna di Lipari e del Mediterraneo tutto.

*Daniele Malfitana è professore Ordinario di archeologia, direttore della Scuola di Specializzazione in archeologia e Presidente della Scuola Superiore dell’Università di CataniaCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA