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Anna Takahashi l’illustratrice giapponese che disegna i piatti tipici siciliani

Vive fra Siracusa, California e Giappone. Nei suoi disegni la leggerezza e l’allegria dei piatti tipici siciliani

Di Carmen Greco |

Il suo profilo su Instagram si chiama “anna eats colors” e non è un caso, perché le illustrazioni di Anna Takahashi, giapponese di nascita e siracusana d’adozione si “mangiano”. Non tanto e non solo perché raccontano in maniera gioiosa e dettagliatissima varietà della cucina, ma perché trasferiscono con uno stile fra il surreale, il pop e un pizzico di kitsch, quello spirito di convivialità e soddisfazione collettiva che solo una tavolata riesce e regalare. Soprattutto in Sicilia. L’arancino con il ripieno “magmatico” sullo sfondo di un sole nascente con due gatti che ballano, una cassata-isola su una spiaggia caraibica, fichidindia con fiori “di lava” e così via disegnando. Il tutto con una formica come “firma”. An.T. sono le iniziali di Anna Takahashi e in inglese “ant” significa proprio formica.

Quarantadue anni, un sorriso contagioso e un marito siracusano, il fotografo e ritrattista Giovanni Tinè, Anna Takahashi, vive fra Siracusa, Los Angeles e Sagamihara la sua città natale.«Ho sempre saputo di voler fare l’artista sin da quando avevo 6 anni. Disegnavo sempre ed eravamo già in California dove si era trasferita tutta la mia famiglia. Ho vissuto lì fino ai 9 anni, poi ritornata in Giappone durante l’adolescenza ho maturato l’idea di voler studiare arte e ho deciso di ritornare in California da sola anche se non avevo un obiettivo preciso. In Giappone nel 2009 ho lavorato come grafica per tre anni in un’azienda di web design a Tokio prima di capire che non era un lavoro che faceva per me».

Dopo l’incontro con suo marito l’arrivo in Sicilia. Cosa l’ha colpita di più?«La somiglianza con la California, il mare, la vegetazione desertica, i luoghi soleggiati, i panorami molto colorati. Per me è importante che ci siano una luce forte e dei colori accesi, sono cresciuta con la luce della California e in Sicilia mi sono sentita subito climaticamente a mio agio. Un’altra cosa che mi ha colpito tantissimo è stato il calore umano. Conoscevo bene il Nord Italia ma in Sicilia era molto diverso e mi è subito piaciuto tantissimo. Oggi vivo 7/8 mesi dell’anno a Siracusa, il resto in California o in Giappone».

Una classifica di aspetti positivi e negativi dell’Isola?«Inizio dai negativi. A Siracusa si sa tutto di tutti, ho vissuto in un piccolo paese in California, una comunità molto stretta, e so di cosa parlo. Poi sempre in negativo, mi colpisce come guidano le persone. Una guida molto “intuitiva” (ride ndr), e poi non sono andata ancora in un ospedale, ma ho sentito dire cose tremende… A parte questo, in ogni posto in cui vado cerco sempre di focalizzarmi sulle cose belle altrimenti non potrei vivere da nessuna parte. E a proposito di cose positive, qui esiste uno spirito – ma forse è una cosa italiana – di leggerezza, un modo di saper “giocare” nella vita che non ho mai trovato altrove. Mio suocero ha 95 anni ma esce ogni giorno per andare al mare con sua moglie e con gli amici. C’è ancora quel senso di comunità che purtroppo si sta perdendo in tantissimi posti, anche in Giappone. Avere una vita nella quale sei circondato dagli amici, in cui ci sono tante occasioni di convivialità, credo sia un fatto positivo».

A proposito d’arte, Siracusa non dovrebbe deluderla…«È vero. Basta lanciare un sasso che cade in un sito Unesco (ride ndr). Per me architettura e paesaggio sono le forme d’arte più importanti in Sicilia».

Com’è percepita la Sicilia in California o in Giappone?«Si conoscono i vini. Il mio ex compagno era uno chef in California di origini toscano-friulane, due zone vitivinicole stupende. All’estero il vino e il cibo precedono le conoscenze geografico-storiche».E com’è entrata la sua arte in contatto con l’enogastronomia?«Tramite le illustrazioni delle etichette dei vini, le prime le ho fatte per delle aziende vinicole californiane e altre anche per produttori siciliani, sull’Etna e a Noto».

Ma l’amore per il cibo c’era già prima che fosse soggetto dei suoi disegni?«La mia passione per il cibo in generale è nata sin da quando ero piccola, la decisione di specializzarmi in “arte al servizio del cibo” è nata, invece, 8 anni fa. Una rivista specializzata americana mi aveva chiesto un disegno che illustrasse il tema “diplomazia e convivialità a tavola”. Dovevo illustrare una tavola piena di cibo con avventori di diverse nazionalità che condividessero le loro diverse culture attraverso i piatti. Disegnando questa scena ho avuto una vera e propria epifania su quello che avrebbe dovuto essere il mio lavoro da quel momento in poi: raccontare la storia delle persone che lavorano con il cibo».

Cosa significa il cibo per lei?«La casa. Il cibo è universalità, una cosa che ci collega tutti. Tutti dobbiamo mangiare. Quando avevo 17 anni mi fu diagnosticata una patologia renale chiamata sindrome nefrosica. Il mio medico sottolineò che, sebbene i farmaci fossero importanti, il cibo sarebbe stato la mia più potente forma di medicina, soprattutto perché ero ancora giovane. Per aiutare a guarire il mio corpo, dovevo cambiare completamente la mia dieta. Mia madre, una cuoca appassionata con una cartella di ricette scritte a mano di oltre 200 pagine frutto di anni di corsi di cucina, mi preparava tre pasti al giorno per più di un anno, rispettando tutte le restrizioni dietetiche e introducendo nuove varietà di sapori e ingredienti nei miei pasti. Questa esperienza mi ha reso profondamente consapevole del potere curativo del cibo».

Il suo piatto del cuore?«Due piatti giapponesi: il karaage, un pollo fritto e poi i gyoza (i ravioli giapponesi).

E quello siciliano che ama di più?«Ce ne sono tanti… La cipollina, la pasta alla Norma, le sarde a beccafico…».

A cosa sta lavorando adesso?«Oltre che alle opere su commissione, a una mostra sui piatti tipici siciliani che sarà allestita a Tokio nel gennaio 2026. Sto reinterpretando delle vecchie pubblicità giapponesi rendendo protagonista il cibo siciliano. Ho già realizzato l’arancino, la cassata… Ci saranno anche un carciofo “burlesque” e ovviamente il cannolo, in tutto una ventina di quadri. Il titolo della mostra ancora non l’ho deciso, forse “Alla trattoria di Ant”, ma si accettano proposte».

Si sbarca il lunario in Sicilia a fare l’illustratrice?«Abbastanza, anche se non tutti comprendono il lavoro che c’è dietro, il valore dell’esperienza e dell’investimento personale che un artista fa su se stesso».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA