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“Che peste vi colga!”, a Palermo la collettiva per il “Giubileo Rosaliano”

Da sabato 24 agosto l'apertura alla galleria “Veniero Project”

Di Grazia Calanna |

Pensata per il “Giubileo Rosaliano”, corrono 400 anni dal ritrovamento delle spoglie di Santa Rosalia, in questa mostra, la città di Palermo “si trasforma in un teatro di narrazioni non delimitate da confini geografici, ma estese verso una dimensione più ampia e globale, rappresentando, in piccolo, ciò che accade a qualsiasi latitudine. Le storie personali e collettive che qui prendono vita intrecciano un tessuto ricco di significati e simboli, offrendo uno spaccato delle dinamiche umane che trascendono le limitazioni territoriali. In tale contesto, possiamo intendere le opere esposte come preghiere visive o, meglio, ex voto di speranza, non per desideri o bisogni egoistici, ma per aspirazioni e necessità condivise. Santa Rosalia, patrona della città, diventa un simbolo tangibile di questa speranza e di questa ricerca, un punto di riferimento spirituale per coloro che si affidano alla sua intercessione in momenti di difficoltà”, dichiara Francesco Piazza. Una mostra con un titolo deliberatamente provocatorio che “attinge alla memoria popolare dell’antica maledizione associata alla peste come castigo divino per i peccati. Tuttavia, in una inversione di prospettiva, questo gioco di parole viene traslato nel contemporaneo, dove le “pesti moderne” assumono una rilevanza più sinistra e tangibile. Questa scelta semantica, se da un lato agisce come una denuncia nei confronti dell’umanità, rimproverandola implicitamente per non aver saputo cogliere l’opportunità dell’azione salvifica della Santa e, di conseguenza, aver impedito che i benefici di tale azione fossero trasmessi alle future generazioni, dall’altro incita energicamente a superare queste crisi attraverso azioni che coinvolgano non solo l’ingegno ma anche la solidarietà e la coesione sociale”, aggiunge Piazza.

Di ogni artista, ciascuna opera “reca in sé una potenza espressiva che trascende il mero atto artistico, evocando un dialogo profondo tra il visibile e l’invisibile, tra l’aspirazione umana e la trascendenza divina. L’arte diventa così un mezzo di comunicazione sacro, dove il desiderio e l’attesa si fondono in un linguaggio universale di speranza e fede talmente laico da trascendere ogni confessione religiosa, invitando lo spettatore ad una riflessione intima e personale, oltre i confini del dogma e della ritualità”, conclude Piazza.

I protagonisti: Andrea Buglisi (ha sviluppato un linguaggio che mescola la pittura con altri medium, con particolare enfasi sulla pubblicità; utilizzando immagini iconiche della cultura popolare, crea racconti stratificati e critici e l’opera in mostra ne è un esempio tangibile), Alessandra Calò (conduce l’osservatore attraverso un universo notturno, svelando una visione straordinariamente nitida e poetica delle molteplici sfaccettature e variabili presenti nell’ambiente naturale e umano), Loredana Catania (si allontana dalle convenzioni per delineare un ritratto personale e distintivo in cui la donna diviene l’archetipo di una spiritualità autentica, trasmettendo un senso di sacralità che si fonda sull’esperienza individuale e sulla ricerca interiore), Tiziana Cera Rosco (l’elemento centrale, che pulsa di vita propria, richiama il corpo come il primo sangue del nostro incontro con l’ignoto, mentre reperti organici, dalle forme carnali, ne evocano la materialità attraverso veri e propri coagulamenti che lasciano, nelle garze intrise, aloni simili a sindoni), Demetrio Di Grado (pur emanando un’aura di sacralità e mantenendo una profonda connessione con la realtà terrena, viene perturbata e distorta da una mano che la trascina con forza all’indietro, evocando un richiamo al passato glorioso e, simultaneamente, un’implorazione ansiosa per un nuovo inizio), Max Ferrigno (il suo sguardo penetrante sembra sfidare l’osservatore, rivelando una profondità emotiva che trascende la mera apparenza; le rose, simboli di bellezza e femminilità, assumono qui una forma imponente, quasi a sembrare un copricapo protettivo), Alfonso Leto (attraverso un uso sapiente di simboli e metafore, crea un dialogo tra il rituale religioso e le pratiche estetiche contemporanee, offrendo una critica sottile e insieme una celebrazione dell’interazione tra questi mondi apparentemente distanti), Danilo Maniscalco (usa elementi architettonici come critica alla mancanza di cura e attenzione per il patrimonio, sia esso culturale, ambientale o umano. Una scelta profondamente concettuale. Essa non solo amplifica il senso di innalzamento, conducendo l’occhio dello spettatore verso l’alto, ma accentua anche la dimensione di sfida e fatica insita nel concetto di ascesa), Alessandro Signorino (la simbiosi tra il tessuto urbano e la presenza umana conferisce alle sue opere una dimensione di profonda empatia e autenticità, invitando lo spettatore a cogliere la bellezza nascosta nei dettagli apparentemente insignificanti del quotidiano), Samantha Torrisi (la sua opera evoca, per forma e dimensione, un’edicola votiva dall’architettura apparentemente semplice, capace di esprimere e sublimare la sacralità di uno spazio dedicato alla preghiera e alla riflessione. Il bagliore da cui è avvolta, la innalza dalla dimensione materiale, trasformandola in un santuario colmo dei ricordi di coloro che, animati da fede e speranza, hanno peregrinato fino a giungere al cospetto della Santa).COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA