Il commento
Il coraggio di un’altra Europa
Senza un rapido passo in avanti delle istituzioni europee che faccia sorgere un autentico stato federale dotato di pieni poteri nei campi nei quali ancora prevalgono i poteri degli stati nazionali, l’Europa rischia di uscire frantumata sul piano politico e impoverita sul piano economico
In un discorso a Bruxelles di pochi giorni fa, Mario Draghi ha detto che l’aggravarsi della situazione internazionale da un lato e le politiche economiche dei maggiori Paesi dall’altro pongono l’Europa davanti a problemi per affrontare i quali non sono più sufficienti gli strumenti di cui dispone oggi l’Unione Europea. Anche se non lo ha detto esplicitamente, il senso della sua analisi è chiaro. Senza un rapido passo in avanti delle istituzioni europee che faccia sorgere un autentico stato federale dotato di pieni poteri nei campi nei quali ancora prevalgono i poteri degli stati nazionali, l’Europa rischia di uscire frantumata sul piano politico e impoverita sul piano economico.
È difficile per chiunque confutare il discorso di Draghi, fondato, come esso è, su una situazione che è sotto gli occhi di tutti. Ma passare da questa diagnosi all’azione richiede una notevolissima dose di coraggio politico. Aprire o riaprire il capitolo dell’unione politica europea, stabilire cioè che a partire da una certa data si eleggerà o si sceglierà un governo federale europeo che sottrarrà agli Stati membri i loro poteri in campi come la politica estera, la difesa, la politica economica e la politica industriale non è una scelta facile. Sarebbe necessaria una grande determinazione da parte degli attuali governi degli Stati europei e una capacità di persuasione verso le opinioni pubbliche nazionali, nelle quali circolano molti sentimenti nazionalistici. Bisognerebbe spiegare che l’isolamento sarebbe una risposta velleitaria renderebbe tutti i Paesi europei più deboli.Tutto questo spiega perché il discorso di Draghi abbia suscitato commenti piuttosto imbarazzati da parte del mondo politico italiano ed europeo e molti abbiano preferito rifugiarsi nel dire che sono questioni che andranno riprese dopo le ormai prossime elezioni europee. Mentre in realtà parlarne ora darebbe un contenuto e un significato alla campagna elettorale e preparerebbe il Parlamento Europeo ad affrontare il problema fin dall’inizio del suo mandato.
Si tratta di una discussione essenziale che investe il futuro dell’Europa e spinge a uscire dalla routine per affrontare un nodo politico vero. La storia è così: in certi momenti scorre lentamente e consente politiche del giorno per giorno; in altri momenti accelera e pone i Paesi e gli uomini di fronte alla necessità di fare rapidamente delle scelte coraggiose. In fondo è una situazione che ha diverse analogie con quella davanti a cui gli Stati europei si trovarono alla fine della seconda guerra mondiale. Anche allora le strade possibili erano due. Ciascuno Stato europeo poteva cercare di uscire dall’abisso delle rovine della guerra per proprio conto, come alla fine della Grande Guerra, alimentando gli odi e i risentimenti reciproci e preparandosi, come allora era avvenuto, a una nova resa dei conti ancora più devastante della precedente. Oppure si potevano metter da parte gli odi e le rivalità reciproche che avevano consegnato agli Stati Uniti e all’Unione Sovietica il ruolo di protagonisti che in precedenza era stato il loro e ricostruire insieme l’Europa, cercando di farne uno spazio di libertà e di pace.
C’erano voci autorevoli – quella di Altiero Spinelli e di Eugenio Colorni dal confino di Ventotene per citarne solo una – che incoraggiavano l’Europa in questa direzione e che fortunatamente trovarono uomini politici nei vari stati che seppero ascoltarla. Basta ricordare la celebre immagine del generale De Gaulle e del cancelliere Adenauer che camminano mano nella mano per capire il senso profondo di quello che è avvenuto nell’Europa del secondo dopoguerra. Così è iniziata e per questo è stata possibile la ricostruzione dell’economia europea, l’abolizione delle barriere doganali fra i Paesi del Mercato Comune, la libera circolazione delle persone e delle merci, i programmi Erasmus per i giovani e la moneta comune per unisce 500 milioni di europei. Ed è dipeso da questi risultati cioè dall’attrazione costituita dal benessere economico e dalle condizioni di libertà dell’Europa occidentale a contribuire al crollo dell’Unione Sovietica e alla possibilità del ritorno alla democrazia dei paesi dell’Europa centrorientale che alla fine della guerra erano stati separati dal resto del continente dalla “cortina di ferro” di cui aveva parlato Churchill nel 1946.Tutto questo è stato costruito attraverso forme di cooperazione molto intense in un crescente numero di settori, ma mantenendo sempre l’autonomia degli Stati nazionali e dei loro organi politici. L’Europa è in alcuni campi governata come un sistema federale, ma nelle grandi questioni della politica estera, della difesa, delle politiche di bilancio, delle politiche industriale, essa è ancora una confederazione che dove serve il consenso di tutti per procedere. Se ne è avuto una nuova conferma nei giorni scorsi nel Consiglio Europeo che doveva affrontare il tena dell’unificazione dei mercati dei capitali europei. Abbiamo così una moneta comune ma non una politica economica europea; abbiamo una cooperazione nella difesa e nella politica estera, ma non una politica estera e una difesa europea; abbiamo le voci delle nazioni europee nel concerto mondiale, ma non la voce dell’Europa che oggi potrebbe parlare con l’autorevolezza del più vasto sistema democratico nel mondo e di un’economia seconda solo agli Stati Uniti.Oggi la cooperazione europea non basta più. Se dobbiamo fronteggiare sul piano economico la Cina, ma anche gli Stati Uniti nella loro ansia di difendere a tutti i costi la loro economia, dobbiamo rispondere con strumenti altrettanto efficaci. Serve cioè un bilancio europeo e un ministro del tesoro europeo. Se dobbiamo fronteggiare la minaccia politica e militare della Russia, sapendo che l’evoluzione politica americana potrebbe far venir meno la garanzia di sicurezza offerta dagli Stati Uniti ai Paesi europei durante l’intero dopoguerra, abbiamo bisogno di un bilancio della difesa europea e di una politica estera europea.Mario Draghi ha fatto bene a porre tempestivamente questi problemi. Ora spetta alle forze politiche italiane ed europee aprire una seria ma breve fase di discussione e prepararsi a dare una risposta all’altezza dei problemi da affrontare.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA