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L'inchiesta
Il dramma delle donne immigrate: anche in Sicilia tanti casi di infibulazione
Con i flussi migratori questo esercito di mutilate è arrivato anche nel nostro Paese. Alcune hanno cominciato a lottare contro una pratica che le ferisce nel corpo e nell'anima
«Sono rimasta incinta. Ma come è stato possibile?». Un’affermazione che può a prima vista apparire quasi ridicola, ma per una donna infibulata invece è una domanda più che normale. La chiameremo Sonia, oggi è mamma e si è sottoposta a un intervento chirurgico che le ha ridato la sua femminilità.Una storia tutta siciliana.
Una pratica contro i diritti umani
Quando il ginecologo Franco Pepe ha incontrato diversi anni fa la paziente all’ospedale San Marco di Catania, una 28enne somala, con il suo compagno ha capito che si trovava davanti non solo a un caso clinico delicato ma anche a una vicenda umana complicata. Quella donna era stata privata di una parte di sé stessa. Era stata sottoposta alla mutilazione degli organi genitali femminili da bambina. Le mutilazioni genitali femminili «sono riconosciute dall’Organizzazione delle Nazioni Unite come una pratica contro i diritti umani». Una violazione che purtroppo è diffusa in molti Paesi, molti più di quelli che si possono immaginare. «È una grave violazione dei diritti della donna e una discriminazione in base al sesso poiché lede il diritto all’integrità fisica, al mantenimento dello standard migliore di salute e la libertà dalla violenza, dalla tortura, dalla crudeltà e dai trattamenti inumani o degradanti». Le mutilazioni genitali femminili (Mgf) «sono diffuse in 30 paesi africani, soprattutto Africa sub-sahariana, Egitto, Sudan ed in alcuni dell’Asia e del Medio Oriente quali Iran, Iraq, Arabia Saudita, Giordania, Oman, territori occupati di Gaza ed in Asia in India, Malesia ed Indonesia; ed in parte del Sud America». Ma con i flussi migratori questo esercito di mutilate è arrivato anche in Italia e in Sicilia. Vicine di casa, mamme, colleghe. Che nascondono le loro ferite: non solo nel corpo, ma soprattutto dell’anima. E lottano per cambiare le cose. Per educare gli uomini delle loro famiglie.
I dati dell’Unicef
Nel mondo sono 230 milioni. L’Unicef ha pubblicato i dati lo scorso marzo. Uno studio recente stabiliva che in Italia c’erano circa 50.000 donne sottoposte a Mgf, ma la Bocconi ha fatto un altro report e ne ha censite 88.000.
Queste donne però non chiamatele vittime, ma sopravvissute. Le mutilazioni possono avvenire nelle prime settimane di vita, durante l’infanzia o all’inizio della pubertà e con modalità e conseguenze diverse. Per quanto riguarda la stragrande maggioranza delle donne che hanno subito le MGF che vivono in Italia, la mutilazione avviene prima della migrazione oppure, nel caso delle seconde generazioni, in occasione di un viaggio nel Paese di origine. Le cosiddette summer holiday. «Nei paesi di immigrazione, come l’Italia, è necessaria una maggiore consapevolezza delle Mgf nei mass media e negli operatori sanitari così come una ben articolata strategia volta alla prevenzione nelle ragazze a rischio provenienti dai paesi in cui sono praticate e che sono attualmente residenti in Italia», avverte un ginecologo.
I gradi delle mutilazioni
Le mutilazioni sono di diverso tipo. «Quando si asporta il clitoride (la sua parte “sporgente”) si parla di mutilazione di grado 1; quando oltre a questo si riducono o eliminano le piccole labbra si è di fronte a una mutilazione di grado 2; quando si aggiunge il restringimento dell’introito vaginale, la cosiddetta infibulazione, è stata praticata una mutilazione di grado 3 e 4, a seconda dell’estensione della sutura di chiusura». Molte volte non c’è alcun accorgimento anestetico e gli strumenti usati non sono nemmeno disinfettati. E il rischio di gravi infezioni che possono portare alla morte è davvero concreto. Ma c’è da non sottovalutare l’aspetto psicologico, sociale e sessuale che vive la donna. Costretta a essere marchiata come un capo di bestiame. Non c’è alcun rito religioso dietro: nè la Bibbia, nè il Corano, nè altri testi sacri parlano delle mutilazioni genitali femminili.
L’allarme
Nel 2030 ci si era prefissati di raggiungere un grande obiettivo: estirpare Mgf. . Ma l’Unicef ha lanciato l’allarme: «negli ultimi otto anni, infatti, le vittime di mutilazioni genitali sono aumentate del 15 per cento, ovvero trenta milioni di bambine e ragazze in più rispetto a otto anni fa. L’Africa è il continente dove l’abuso è più diffuso, con oltre 144 milioni di casi; in Asia si contano 80 milioni di donne mutilate; in Medio Oriente sei milioni. Le escissioni genitali femminili vengono effettuate anche in piccole ma isolate comunità delle diaspore in tutto il mondo».La sfida quindi è davvero difficile. Serve una «strategia volta alla prevenzione nelle ragazze a rischio provenienti dai paesi in cui sono praticate e che sono attualmente residenti in Italia». E anche i mass media sono chiamati a fare la loro parte: hanno il compito di far comprendere le motivazioni culturali e sociali del fenomeno e sviluppare la cultura della prevenzione». Ma dall’altro canto serve anche formare «operatori sanitari e ginecologi» più preparati. È tempo di una svolta epocale. Non c’è più tempo. Ci sono tre milioni di bambine da salvare ogni anno.