Territorio
Mattia Filippi, l’enologo che legge il futuro dell’Isola: «La Sicilia oltre la retorica del vino»
«Investite in dighe e invasi. Il modello agricolo non sia un compartimento stagno»
Piante meno “stressate”, vecchi vitigni risuscitati, vini meno alcolici. In Sicilia la fotografia del vino del futuro dipenderà sempre di più dal cambiamento climatico e dalla capacità di saper rimodulare il sistema produttivo per come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi. Parola di Mattia Filippi, enologo trentino, siciliano per amore, fondatore assieme ad altri due enologi di una società di consulenza viticola che si occupa di far navigare a gonfie vele grandi brand e piccole aziende nel mare magnum dei mercati.In Sicilia la società sta lavorando su progetti di filiera “completi” a Salemi, Santa Ninfa, Marsala, Vittoria, collabora da 5 anni con Assovini per Sicilia en Primeur e si è occupata anche si seguire dal punto di vista strategico degli investimenti la “Brave wine” di Renzo Rosso per la sua collaborazione con Benanti sull’Etna.
In questo momento il cambiamento climatico è la grande incognita. In questa situazione la Sicilia dei prossimi anni a cosa deve guardare?«A qualcosa di antico che va oltre la tradizione, qualcosa che era stato abbandonato, come i vitigni reliquia (i vitigni autoctoni non più coltivati ndr) che nell’ultimo secolo non rispecchiavano più le esigente produttive. Oggi rimettendoli in produzione si potrebbero trovare delle varietà o delle soluzioni “ecologiche” innovative sia per contrastare il cambiamento climatico, sia come risultato enologico per ottenere dei vini “contemporanei”. Inoltre si potrebbe guardare a varietà che, selezionate tramite incroci, potrebbero resistere bene alle malattie e alla siccità».
Quali dovrebbero essere le caratteristiche da ricercare?«Facciamo un esempio. Se ci fosse una varietà che accumula poco zucchero, conseguentemente darà dei vini poco alcolici, non corposi e molto fruttati. Oppure una varietà che matura molto presto o molto tardi, saltando la fase critica di luglio e agosto. Questi sono elementi che 20 anni fa erano dei limiti forti per le esigenze produttive dell’epoca. Oggi, invece, con le esigenze produttive e il cambiamento di “stile” nel vino che vuole il mercato, potrebbero essere dei vantaggi».
Beh, una cosa che non si fa dall’oggi al domani e il cambiamento climatico è già qui…«C’è da lavorare, ma la doc Sicilia ha diversi progetti in corso sullo studio delle varietà reliquia, la direzione intrapresa è quella giusta».
Questa “transizione vitivinicola”, di cosa ha bisogno per essere realizzata?«Di una rivalutazione o un riassetto del piano viticolo siciliano».
E guardando a come lavora oggi la Sicilia del vino come stiamo messi?«Onestamente credo che ci siano dei margini di accelerazione impressionanti in Sicilia. Non è normale che ci siano nello stesso contesto viticolo aziende che falliscono e aziende che performano benissimo, fra le migliori in Italia».
Troppi squilibri…«È proprio questo il problema. In altre zone d’Italia l’andamento del comparto viticolo è più omogeneo, o vanno tutti bene o tutti male o tutti così così. In Sicilia ci sono troppi casi di aziende che vanno male vicine ad aziende che hanno grande successo e il paradosso è che mai come in Sicilia ci si muove in un contesto di alta collaborazione su tutta la filiera, cosa che non esiste in nessuna regione italiana».
Non si potrebbe pensare che questo squilibrio dipenda dalle potenzialità economiche delle singole realtà produttive?«A mio parere quello che manca nelle aziende siciliane è un alto livello di managerialità. Ci sono aziende troppo poco “managerializzate”».
Oggi il vino gode anche di tutta quella “narrazione” romantica legata alla terra, al nonno contadino, al saper fare tramandato alle nuove generazioni, al territorio… Che posto avrà questo racconto per il viticoltore 4.0?«Io non credo che si perderà. Chi avrà la capacità di far sì che il vino non sia solo un fine ma anche un mezzo ce la farà. C’è tutto il mondo dell’enoturismo che sta evolvendo, o quello del turismo “esperenziale”. Basti guardare tutto quello che riescono a vendere “oltre il vino” in Napa Valley. La stessa cosa potrebbe essere legata al mondo dell’agricoltura rigenerativa, nel mondo del vino ci sono tante sfumature che vanno in questa direzione. Io non vedo problemi o limiti. Vedo, invece, molte opportunità».
Dal punto di vista di questa nuova mentalità dove piazzerebbe la Sicilia del vino da 1 a 10?«Secondo me 6. Poi ci sono aziende che sono a “12” e rappresentano dei modelli virtuosi anche per altre regioni italiane, e aziende che non hanno idea di cosa stia succedendo attorno a loro».
Se fosse un investitore oggi in Sicilia su cosa punterebbe?«Io se avessi soldi farei dighe, laghi, invasi. L’acqua in Sicilia c’è, ma dev’essere conservata. Si trova in una zona fortunata al centro del Mediterraneo e gode di tante influenze climatiche anche dei Balcani. Se si ripristinassero le dighe o se ne costruissero di nuove, sarebbe uno degli indebitamenti migliori che questa regione potrebbe fare. Il costo di ammortamento di quelle opere verrebbe ripagato dall’agricoltura, dal turismo e, eventualmente, anche da un’industria green che si potrebbe sviluppare attorno a queste strutture perché se la desertificazione prosegue, se l’abbandono dei vigneti prosegue, anche le eccellenze che oggi rappresentano un’oasi nel deserto, quanto potranno durare?, Quanto potranno essere attraenti? Io faccio sempre l’esempio dell’Alto Adige dove tutto è perfetto e funziona. Ma funziona perché il contesto è perfetto e questo ha consentito a chi lavora nel settore del turismo di poter usufruire del 30% di guadagni in più, dalla ricettività, alla ristorazione, all’enoturismo. Bisogna ripensare al modello agricolo non più come un compartimento stagno. Il vero futuro della Sicilia dovrebbe essere una legge quadro di visione con all’interno l’agricoltura, il turismo, l’industria green e possibilmente anche il settore energetico. Non si può più pensare che il settore starà in piedi da solo».
Non c’è il rischio opposto che una vacanza in Sicilia o una bottiglia di vino diventino “roba per ricchi”?«Non credo, perché la Sicilia è una regione-continente in cui esiste ancora margine per il turismo rurale o l’ecoturismo, si può stare all’aperto 10 mesi su 12 e non solo in ambito viticolo, ma anche zootecnico, ortofrutticolo, escursionistico, in mille settori. Credo che il turismo resterà una cosa abbastanza democratica e abbastanza “pop”».c.greco@lasicilia.itCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA