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un anno fa la cattura

Messina Denaro, ancora tanti segreti dietro al “fantasma” visibile

Dal “patto di sangue “con i palermitani ai buchi neri della latitanza trentennale

Di Laura Distefano, Laura Mendola |

Un fantasma visibile. Un ossimoro che descrive alla perfezione i 30 anni di latitanza di Matteo Messina Denaro, catturato un anno fa dal Ros dei carabinieri. La data storica è quella del 16 gennaio 2023. La detenzione del boss di Castelvetrano è durata pochi mesi: malato oncologico, è morto a L’Aquila il 25 settembre scorso. È andato via senza rivelare nulla. Ha portato con sé i segreti delle stagioni delle Stragi. Delle bombe del 1993. Dei collegamenti deviati e criminali con la massoneria grigia.

De Lucia: “Non è l’ultimo capo di Cosa Nostra”

Un mafioso stragista, ma sbaglia chi lo ha certificato come l’ultimo capo dei capi di Cosa nostra. «Quel ruolo spetta a un palermitano». Il procuratore Maurizio de Lucia lo disse senza se e senza ma fin dal primo momento dopo il blitz alla clinica La Maddalena di Palermo, dove Messina Denaro faceva le sedute di chemioterapia. Le parole del magistrato, che assieme all’aggiunto Paolo Guido hanno coordinato l’inchiesta che ha portato all’arresto del “u siccu”, non vogliono sminuire il peso criminale del boss ma solo scattare una foto nitida e veritiera degli assetti criminali della mafia siciliana. A cui Messina Denaro fu legato a triplo filo. Anzi volle creare un legame di sangue come sigillo dell’alleanza tra il mandamento di Castelvetrano con Palermo. Quel sigillo fu il matrimonio della sorella Rosalia con il boss in “ergastolo bianco” Filippo Guttadauro. Il caso ha voluto che proprio a casa della sorella di Rosalia, arrestata poco tempo dopo la cattura storica del fratello, il Ros ha trovato il pizzino che ha dato l’input alle indagini che hanno scritto il “The End” sul libro della latitanza del boss. Ed è ora sulla rete di fiancheggiatori – composta da medici, professionisti e amanti – che i radar della procura (anzi delle procure) si sono concentrati.

Il centro di gravità delle indagini è Campobello

La matassa piano piano si sta dipanando. Il centro di gravità delle indagini è Campobello di Mazara, nel trapanese, dove per anni il latitante ha vissuto confondendosi con i pochi abitanti. Passeggiava, faceva la spesa, andava al bar. Una strategia lucida: “Non mi nascondo diventando invisibile”. Ma torniamo ai fiancheggiatori, quelli che lo hanno aiutato e supportato consapevolmente. Coloro che hanno dato una mano a chi si è macchiato di crimini orribili. Lo sanciscono sentenze definitive nonostante Messina Denaro abbia negato durante gli interrogatori delitti efferati come quello del piccolo Giuseppe Di Matteo.

I tanti fiancheggiatori che lo hanno coperto

La catena di montaggio della latitanza parte da Giovanni Luppino, l’imprenditore agricolo che è diventato il fedele chauffeur del boss. Era colui che guidava l’auto per condurre il latitante in clinica. I carabinieri hanno contato almeno 50 trasferte in meno di 24 mesi. «Me lo avevano presentato con un altro nome e questa mattina all’alba ha bussato a casa mia per chiedermi un passaggio». Furono queste le parole, poco convincenti, pronunciate la mattina del 16 gennaio agli investigatori.Luppino però avrebbe avuto anche il ruolo di esattore: sarebbe andato in giro a bussare alla porta di diverse persone – alcune da individuare – a chiedere i contanti necessari per finanziare la latitanza da borghese di Matteo Messina Denaro. L’autista sta affrontando il processo abbreviato da detenuto. Ma non dimentichiamo il geometra Andrea Bonafede. Il concessionario di identità al boss di Casteveltrano ha parentele all’interno di Cosa nostra. È infatti il nipote del capomafia Leonardo Bonafede. Per i magistrati bisogna partire da Bonafede per scardinare la cassaforte di segreti della latitanza di Messina Denaro.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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