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“Sistema Montante”, teste racconta: «Ex presidente mi disse che boss Arnone poteva aiutarmi»

L'imprenditore Pietro Di Vincenzo è stato sentito come teste e parte offesa

Di Redazione |

«Le mie aziende erano oggetto di attentati e Antonello Montante mi disse che poteva mettermi in contatto con Vincenzo Arnone per sistemare le cose. Ringraziai e dissi di no». Lo ha detto l’ingegnere Pietro Di Vincenzo, sentito come teste e parte offesa nell’ambito del maxi processo sul «Sistema Montante» che si celebra a Caltanissetta.

Il riferimento è a Vincenzo Arnone, boss di Serradifalco condannato in via definitiva per associazione mafiosa. L’imprenditore nisseno Pietro Di Vincenzo, al quale è stato confiscato un patrimonio di 264 milioni e 565 mila euro per sospetti di contiguità con soggetti mafiosi, è stato presidente degli industriali di Caltanissetta e vicepresidente di Confindustria Sicilia, è stato indagato per concorso in associazione mafiosa, nel 1992, e prosciolto. Poi è stato assolto nel 2009 dalla Corte d’Appello di Roma in un’inchiesta che coinvolse la cosca Rinzivillo di Gela. Secondo la ricostruzione degli inquirenti proprio sulle vicende giudiziarie di Di Vincenzo, Antonello Montante avrebbe iniziato la sua carriera come paladino dell’Antimafia.

«Tra la fine del ’95 e inizio del ’96 – spiega Di Vincenzo, rispondendo alle domande del Pm Maurizio Bonaccorso – i miei cantieri sono stati oggetto di attentati incendiari e dinamitardi che puntualmente denunciavo. Fatti che venivano riportati sulla stampa e per i quali ricevevo solidarietà. Un giorno Montante, dopo la sua elezioni a presidente dei giovani imprenditori, venne a trovarmi in ufficio: era il 30 aprile del ’96. Mi espresse la sua solidarietà e mi offrì aiuto dicendomi che poteva mettermi in contatto con il suo compare Vincenzo Arnone al fine di sistemare le cose». Alla domanda dell’avvocato di Montante, Giuseppe Panepinto se si parlò esplicitamente di denaro Di Vincenzo ha così risposto: «Non mi parlò esplicitamente di denaro ma per me era evidente che si riferisse a una situazione con esborso di denaro per far finire gli attacchi della criminalità organizzata. Per la mia esperienza di imprenditore tutte le volte che qualcuno si è messo in mezzo per ‘mettere le cose a postò mi è stato poi chiesto del denaro. A quel punto – ha continuato Di Vincenzo – feci buon viso a cattivo gioco, lo ringraziai e gli dissi che non era il caso. Già pagavo il pizzo ad altri soggetti e quindi non ritenevo di aggiungere altri sanguisuga alla mia tasca. Da allora ho sempre cercato di avere con lui un atteggiamento garbato ma con una notevole diffidenza nei suoi confronti».

«Nel 2002 ho avuto una vicenda giudiziaria nell’ambito dell’operazione “Cobra” a Roma per concorso esterno in associazione mafiosa. In primo grado ero stato condannato a un anno e 4 mesi per poi essere assolto in Appello. In quel processo divenni parte offesa. Fu così che nel 2004 Antonello Montante cominciò a sferrare attacchi sempre più cruenti nei miei confronti strumentalizzando le mie vicende giudiziarie per farsi spazio all’interno dell’associazione degli industriali», ha raccontato ancora Di Vincenzo.«Montante – ha continuato l’ingegnere rispondendo alle domande del Pm Maurizio Bonaccorso -, iniziò a diffondere sulla stampa il fatto che ci fosse una competizione tra me e lui. Utilizzava la mia notorietà per farsi strada. Cominciò a dire che doveva liberare Confindustria dalla mafia e sbarazzarsi non solo di Pietro Di Vincenzo ma di tutti coloro che rappresentavano la vecchia guardia. Questo perché molti di noi imprenditori non lo vedevano di buon occhio, primo per i suoi rapporti con Vincenzo Arnone. Ma a parte questo millantò una laurea honoris causa conferitagli dall’università La Sapienza. Cosa che non era vera e che creò molto imbarazzo. Montante inoltre aveva un linguaggio poco adeguato per poter rappresentare gli industriali».

Di Vincenzo ha quindi aggiunto: «L’ascesa di Antonello Montante a presidente di Confindustria fu possibile anche grazie ai suoi rapporti con il questore Filippo Peritore». Peritore non è tra gli imputati ma oggi nel corso dell’udienza il suo nome è stato più volte tirato in ballo da Di Vincenzo. “Il questore Piritore – ha aggiunto il teste – ha messo nelle condizioni Montante di essere eletto come presidente degli industriali facendogli avere tutti i voti dell’Eni, per il tramite del capo della sicurezza dell’Eni, che si era sempre astenuta proprio per la sua posizione preponderante». Sempre sul questore Piritore Di Vincenzo ha raccontato di un altro episodio: «Non mi diede la tutela nonostante due malviventi, Angelo Palermo e Pietro Riggio, furono intercettati mentre parlavano all’interno del ‘circolo Fogliettò delle minacce che mi erano state inviate. I due si lamentavano che non erano servite a nulla. A seguito di questo fatto il commissario Staffa ritenne opportuno richiedere una tutela nei miei confronti ma a questa richiesta il questore Peritore non ha dato seguito. Tra l’altro in questo dialogo si parlava di fare un assalto a casa mia dove vivevo con mia mamma, in campagna, con un rapimento».

E’ stato rinviato al prossimo 22 gennaio il controesame del teste Pietro Di Vincenzo. Nell’udienza del 22 gennaio toccherà alle difese.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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