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Nel Sud 1 impresa su 3 non fa nulla per trattenere i talenti

Indagine del Centro Studi Tagliacarne-Unioncamere

Di Redazione |

ROMA, 06 GEN – Le imprese italiane si lamentano per la fuga dei talenti, soprattutto dal Sud del Paese, ma al dunque fanno poco per trattenere le migliori energie giovani nelle aziende. Lo evidenzia una indagine del Centro Studi Tagliacarne-Unioncamere presentata recentemente a Catania. Il capitale umano, secondo lo studio sulle medie imprese italiane, è ritenuto strategico da quelle del Mezzogiorno ma il 29%, quasi una su tre, non adotta ancora nessuna politica per trattenere i propri talenti in azienda. Tuttavia, quando decidono di agire, il primo strumento che le imprese utilizzano per combattere la “great resignation” (il recente fenomeno delle grandi dimissioni di massa, ndr) resta la leva salariale. Anche perché, quando puntano sul proprio personale, le medie imprese meridionali sentono di avere una marcia in più: il 50% che investe in capitale umano stima un aumento del fatturato entro il 2025 contro il 37% di chi non lo fa. “Nel Mezzogiorno – si legge nel rapporto dell’ente guidato da Andrea Prete – c’è una minore propensione a mettere in campo pratiche per trattenere i talenti in azienda: il 29% delle medie imprese meridionali, infatti, non ha adottato nessuna pratica contro il 15% delle imprese delle altre aree del Paese”. Il primo strumento per trattenere i talenti in azienda resta dunque l’incremento del salario (29%), seguito dai benefit aziendali (21%) e dal riconoscimento del lavoro svolto (17%). Poco utilizzata la concessione dello smart working (solo l’8%) o la flessibilità negli orari di lavoro (11%). Secondo uno studio dell’Università di Pisa, la fuga dei talenti ci costa circa l’1% del Pil ed ha alle sue radici la scarsa gratificazione economica, la precarietà del lavoro, la scarsa possibilità di progressioni di carriera ed il mancato riconoscimento delle abilità individuali.

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