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Operazione Doppio Petto, il film dell’estorsione ai Di Martino: l’azienda catanese pagava il pizzo da quasi vent’anni

I noti imprenditori dell’autotrasporto e della logistica costretti versare la “tassa mafiosa” per «evitare ritorsioni e lavorare tranquilli»

Di Laura Distefano |

Il regalo di Natale per tenere buoni i malavitosi è un classico. Il copione di una delle modalità più vecchie delle estorsioni della mafia – anche se in questo caso il reato di associazione mafiosa non è stato contestato dal gip nonostante la richiesta dei pm – emerge nelle carte dell’inchiesta Doppio Petto eseguita ieri dalla polizia di Catania. E che ha portato, come ampiamente descritto in cronaca, a diciotto misure cautelari per estorsione, usura e droga. Al centro dell’operazione – coordinata dai pm Assunta Musella, Fabio Saponara e dall’aggiunto Ignazio Fonzo – i figli e la moglie dello storico boss dei Pillera Puntina di Catania, Maurizio Giacomo (chiamato Nuccio) Ieni, deceduto in carcere lo scorso maggio.

Nelle 150 pagine dell’ordinanza firmata dal gip Sebastiano Di Giacomo Barbagallo c’è il film dell’estorsione ai danni dei noti imprenditori dell’autotrasporto e della logistica, Filippo e Angelo Di Martino (quest’ultimo da qualche mese presidente di Confindustria Catania). Dalle intercettazioni si evince che ha tenere i contatti con gli esattori è Filippo. La vicenda in verità è venuta a galla pochi giorni prima del Natale di due anni fa. Esattamente il 18 dicembre 2021 i poliziotti della squadra mobile hanno arrestato Giovanni Ruggeri fuori dallo stabilimento alla zona industriale dei fratelli Di Martino. Gli investigatori hanno perquisito l’indagato e «custodita nella tasca interna sinistra del suo giubbotto» hanno rinvenuto «la somma di 4.000 euro legata con un elastico».

La tassa mafiosa

Filippo Di Martino, come è documentato nell’ordinanza, convocato in Questura non si è assolutamente sottratto alle domande e ha confermato «che l’azienda – da circa 20 anni – era sottoposta ad estorsione» e ha aggiunto che «l’attività illecita aveva preso avvio con una richiesta di denaro destinato, nella prospettazione che gli era stata fatta, al sostentamento delle famiglie dei detenuti». La tassa mafiosa da mettere sotto l’albero sarebbe nel tempo lievitata passando da due rate da «1.000 euro» fino a «4.000». Quindi complessivamente sarebbero stati 8.000. Anche Angelo Di Martino ha fatto delle dichiarazioni agli investigatori. Evidenziando che la «determinazione era stata assunta illo tempore dal fratello e, poi, mantenuta nel tempo». Ma due anni fa il presidente degli Industriali ha precisato: «Le persone a cui corrisponde l’estorsione sono mafiosi e pertanto ha insistito di pagare per evitare ritorsioni e lavorare tranquilli».

L’arresto di Ruggeri è stato immediatamente commentato da Dario Ieni, figlio del boss defunto, e Riccardo Di Mauro (un altro indagato). I due hanno respinto qualsiasi ipotesi sul fatto che l’iniziativa della polizia potesse essere frutto della denuncia della vittima. Ieni jr infatti ha precisato: «Questo è vent’anni che paga». La liberazione dal cappio del pizzo periodico ai due imprenditori è arrivata grazie all’intervento della polizia.

Vecchi sistemi ma anche nuove modalità di equilibrio di potere. Ieri le manette sono scattate anche a Francesca Viglianesi, la moglie dell’esponente (scomparso) del clan Pillera-Puntina accusata di estorsione e usura. Per gli inquirenti sarebbe stata direttamente coinvolta «negli affari – criminali – di famiglia». Sarebbe stata molto attiva per far rispettare gli accordi ai negozianti – alcuni tra i più chic di Corso Italia – gli sconti tutto l’anno sull’abbigliamento griffato. Consorte devota, è intercettata durante un colloqui con Ieni, all’epoca in carcere, mentre gli mandava i saluti di un affiliato. Un collaborate di giustizia ha detto di lei: «Supportava il marito quando era detenuto».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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