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LO SCENARIO

“Clamoroso al Cibali”: così Catania è diventato l’epicentro giudiziario dei casi sui migranti

Il naufragio record, i «taxi del mare» e il processo Salvini. Fino all’ultima “picconata”. Il presidente del Tribunale Mannino: «È una questione di interpretazione di norme e di diritto»

Di Mario Barresi |

Dal «clamoroso al Cibali», quell’urlo a Tutto il calcio minuto per minuto del 1961, rimasto d’incerta paternità, al «clamoroso a Piazza Verga». Catania crocevia giudiziario delle più importanti vicende sui migranti. La “liberazione” di tre migranti tunisini dal Cpt di Pozzallo, una picconata sulla legittimità degli ultimi decreti del governo , è solo l’ultimo d’una serie di casi.

Clamorosi, appunto.

Così, se Lampedusa resta per antonomasia la capitale europea degli sbarchi, è sotto il Vulcano che, nell’ultimo decennio, ribollono inchieste, esternazioni, polemiche, processi e sentenze. E dire che la “prima” dei riflettori mondiali puntati su Catania fu proprio per un’indagine legata all’isola-frontiera. Quella sul naufragio nel Canale di Sicilia del 18 aprile 2015, con un bilancio più grave (58 vittime accertate, fra 700 e 900 presunti dispersi) della strage all’Isola dei Conigli, di cui domani ricorre il decennale.

Il peschereccio eritreo si ribaltò a circa 100 chilometri a nord della costa libica e a 200 a sud di Lampedusa, ma l’inchiesta “sbarcò” a Catania. L’allora procuratore Giovanni Salvi, infatti, fece sentire dalla polizia uno dei 28 superstiti trasportato in elicottero al Cannizzaro. Da lì partì un’indagine che ebbe come appendice lo spettacolare recupero subacqueo del relitto. Salvi, dopo il naufragio, aprì un dibattito politico a livello europeo, contestando la «minore efficacia» di Frontex e Triton rispetto a Mare Nostrum. Fu proprio grazie a questa operazione, che, dal 2013 in poi, la procura etnea diventò l’epicentro delle indagini sul traffico di esseri umani nel Mediterraneo: la marina militare e la guardia costiera avevano cominciato a effettuare soccorsi in alto mare, nel Canale di Sicilia, coinvolgendo soprattutto i porti orientali – e quello etneo in particolare – negli sbarchi.

Testimoni e non indagati

Il procuratore aprì anche la strada, a dire il vero poi poco battuta dai suoi colleghi, a un nuovo approccio (la definì «una scelta coraggiosa») di «indagini nel rispetto dei migranti»: gli sbarcati «considerati testimoni e non indagati di reato collegato». Il che, all’epoca, provocò più d’un mal di pancia nella destra all’opposizione. Prima di tornare Roma da procuratore generale e chiudere la carriera da pg della Cassazione, Salvi curò molto le altre inchieste sui migranti. Compresa quella sul Cara di Mineo, nel 2015, in pool con i colleghi capitolini che lavoravano a Mafia Capitale, con l’allora sottosegretario Giuseppe Castiglione fra gli imputati. Il processo è ancora in corso, complicato dalla sopravvenuta irreperibilità del teste-chiave Luca Odevaine.

L’eredità

Un’eredità e una tradizione raccolte dal successore Carmelo Zuccaro: numerosi fascicoli, con processi e condanne di scafisti, un impegno senza soste. Ma l’attuale procuratore (che il 9 ottobre s’insedierà come pg di Catania) è finito sulle prime pagine di tutti i giornali soprattutto per il “teorema” sulle Ong «taxi del mare». Parole a onor del vero non sue, ma usate da Luigi Di Maio, allora potentissimo leader di un M5S molto meno “accogliente” di oggi, per rilanciare in un post la notizia dell’inchiesta aperta da Zuccaro. Che, in alcune interviste a media nazionali e internazionali nella primavera del 2017, aveva sollevato il «mero sospetto» di rapporti fra i trafficanti di esseri umani e le ong. Il procuratore subì attacchi durissimi dalla sinistra, diventando, senza volerlo, oggetto di osanna a destra, soprattutto da parte di Matteo Salvini. L’inchiesta aperta nel 2018 a Catania per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina a carico di comandante e capomissione di Open Arms (con sequestro della nave) finì con l’archiviazione chiesta dalla Procura e disposta dal gip Nunzio Sarpietro.

La nave Gregoretti

Salvini, Zuccaro e Sarpietro sono poi i protagonisti, a vario titolo, di un’altra vicenda. Il processo a carico dell’allora ministro degli Interni per sequestro di persona e abuso d’ufficio per aver tenuto bloccati 164 migranti salvati nel 2019 sulla nave Gregoretti della Guardia costiera italiana al porto di Catania. La prima grana giudiziaria sul tema per il leader della Lega, per il quale comunque la Procura aveva chiesto l’archiviazione, ritenendo che «l’attesa di 3 giorni per uno sbarco» non possa «considerarsi un’illegittima privazione della libertà». Il caso è entrato in un’aula di giustizia per l’intervento del Tribunale dei ministri, che contestò al titolare del Viminale di avere «determinato consapevolmente l’illegittima privazione della libertà personale» dei migranti, «costretti a rimanere in condizioni psicofisiche critiche» sulla nave. Ma alla fine dopo un’udienza preliminare lunghissima e anomala (nessuna condanna chiesta dal pm), Sarpietro dispose il non luogo a procedere «perché il fatto non sussiste». Salvini, con identica imputazione, è tutt’ora sotto processo a Palermo per il caso Open Arms.

L’ultimo caso

Si arriva ai giorni nostri. Con la bufera scaturita dal provvedimento di non convalida del trattenimento dei migranti nel centro di Pozzallo, sconfessando anche la cauzione di 5mila euro per restare in libertà fissata dal governo Meloni. Secondo il tribunale di Catania è illegittima e confligge con la normativa dell’Ue, oltre a non essere in linea con i principi costituzionali. Ce n’è abbastanza per far scattare, oltre all’annunciato ricorso del Viminale, anche gli strali del solito Salvini che invoca «una profonda riforma della giustizia». Un garbato (e motivato) no comment arriva dal presidente del Tribunale di Catania, Francesco Mannino, sollecitato da La Sicilia. «Ci sono stati un procedimento e un provvedimento ancora impugnabile. È una questione di interpretazione di norme e di diritto. Non ritengo, oggi, opportuno alcun mio ulteriore commento né tantomeno alcuna mia presa di posizione».

Tritacarne

Nell’occhio del ciclone, suo malgrado, stavolta c’è una magistrata schiva, equilibrata e «da sempre al di fuori delle correnti». Iolanda Apostolico, 59 anni, originaria di Cassino ma da vent’anni catanese d’adozione. Dopo l’inizio nel penale (Riesame e misure di prevenzione), Apostolico si sposta nel civile. Ed entra nel “Gruppo specializzato per i diritti della persona e della immigrazione” della prima sezione civile del tribunale, presieduta da Massimo Maria Escher, composto dalle colleghe Maria Carmela Acagnino e Stefania Muratore. La descrizione di Apostolico in tribunale è ben lontana da quella di una toga rossa ideologizzata. Ma, forse per quella maledizione del “clamoroso al Cibali”, anche lei è adesso nel tritacarne politico-mediatico.

m.barresi@lasicilia.it

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