leggende attorno al vulcano
La voce di Encelado risuona negli sbuffi dalle viscere dell’Etna
Il cuore del Vulcano, l’essere mitologico che compare e scompare, sorride e piange, sferza nervate di nuvole di lapilli e con un gesto, semplice, rapido, tuona il silenzio, la calma, il sonno
Violento. Tenue. Sopito. Tenebroso. Enigmatico. O, ancora, stravagante, giocherellone, sdolcinato, amoroso, dolce. Parliamo di lui, il maschio della Sicilia, anzi d’Europa: il vulcano Etna. Al maschile. Segno di virilità per una regione spesso depressa e lasciva, a volte dormigliona e sonnambula. Al femminile la facciamo chiamare ai soli suoi abitanti che se la cullano a sera ed al mattino: «’a Muntagna». Madre, matrigna per loro. Per gli altri, tutti gli altri, è il Vulcano. E sono tanti questi altri che vengono da tutte le parti del mondo per vederlo, scrutarlo, sentirlo. Per odorare l’acre dello zolfo al mattino o, ancora, per sentire la sferzata del vento mentre l’orizzonte miete cieli infiniti di albe. E c’è pure chi ha paura di vederselo davanti, improvviso e tumultuoso, negli scandagli della notte. Parliamo del cuore del Vulcano, l’essere mitologico che compare e scompare, sorride e piange, sferza nervate di nuvole di lapilli e con un gesto, semplice, rapido, tuona il silenzio, la calma, il sonno. E chi si porta ai bordi del cratere, anzi dei crateri che al momento compongono le quote sommitali, a quota 3000 circa, tenta si sporgersi per vederne, magari, un pezzo, un solo pezzetto. Ma lui non si fa vedere, si copre sino alla testa e rimane sopito, sornione. Si tratta di Encelado. C’è chi, specie l’esperta guida, si sporge per dirgli che sono giunti i nuovi turisti, ma lui rimane sempre nascosto. Ed a volte, quando il turista, dopo aver ammirato il ciclo Dantesco dei fumi svaporati alla luce si allontana raggiungendo la valle, lui, il buon Encelado, sprigiona la sua forza e ricomincia a lanciare fiamme, fumo, fuoco, lapilli, a far tremare la terra. Encelado continua così la sua vendetta eterna. Secondo la leggenda è ancora dentro la crosta del vulcano e non si quieta per nessun motivo. Vuole la vendetta e forse per questo l’Etna resterà eterno. Come eterna la rabbia di Encelado. Tradito, infatti, dal padre Creno decide di vendicarsi. Si tratta dell’ennesima lotta dei Giganti con il grande Zeus. Relegati, i primi, nel Tartaro dal grande Dio, cominciano a studiare la vendetta sognando di scalare le vette sino a raggiungere l’Olimpo. Regista del piano è proprio lui, il nostro Encelado. Convince gli altri Giganti di spostare tutte le montagne dell’Europa e dell’Asia e disporle le une sopra le altre in modo da formare una grandissima scala e raggiungere così l’Olimpo. Ma il grande Zeus non si fa sorprendere. E mentre i Giganti sono intenti ad arrampicarsi sulle montagne poste le une sopra le altre, il buon Zeus lancia un terribile fulmine che illumina, improvvisamente, il cielo ed acceca i Giganti. Ma la rabbia di Zeus non si placa. Continua a scagliare saette e fulmini sin quando tutte le montagne cadono e rovinano sino a coprire i Giganti rivoluzionari. Anche Encelado ha la stessa sorte. Vi rimane seppellito ma non sopita è certamente la sua rabbia. Ed allora, da quel momento, comincia ad emanare fumo dalla bocca, fiamme, lapilli, pietre enormi a seconda di quando la rabbia diviene più forte. Si tratta di una vendetta eterna. Encelado ancora è all’interno del nostro Vulcano. Ma c’è pure chi è più commiserevole col grande Zeus. E in questa commiserazione lascia fuori il vecchio Dio e fa diventare venditrice la sua figliola, Pallade Atena. Sarebbe stata lei a vendicarsi del rivoluzionario Encelado lanciandogli contro un grosso masso che colpendolo lo fa sprofondare per sempre nelle viscere del Vulcano. L’una o l’altra tesi, è certo che Encelado è ancora intrappolato dentro il Vulcano e continua a sputare fuoco, lapilli, fumo e bramare di giorno e di notte creando tremori alla terra. E chissà se anche per gli eventi vulcanici degli ultimi giorni è stato ancora una volta Encelado a sfidare il mondo lanciando la sua cenere nella pianura etnea e oltre. Certamente no. Encelado dorme ormai sonni quieti nella grande culla della fantasia mitologica. E l’Etna non appartiene alla mitologia, quanto agli uomini che da decenni, giorno dopo giorno, la solcano, la accarezzano, la coprono di affetto. Parliamo di tutti quelli – e sono tanti – che da “muntagna” ne hanno fatto madre-matrigna, affetto immenso. Uomini come il “camoscio dell’Etna”, don Turiddu Ragonese, sul versante nord, che per l’intera vita ne ha scrutato gli umori, così come ora continuano a fare tutti suoi discepoli, compresi i suoi figli. Parliamo cioè di tutti quegli altri uomini, guide, operatori, appassionati di ogni genere, che di giorno, e a volte anche di notte, vanno a sentirne il cuore. L’Etna è questa: mitologia, scienza, botanica ma anche cuore. Grande cuore.