l'intervista
Sergio Vaccaro e le dimissioni da primario del pronto soccorso di Agrigento: «L’Asp mi vedeva come un nemico»
Caos nell'area di emergenza tra carenze di personale e gestione non sempre condivisa
Dal febbraio 2022 a luglio 2023: l’inizio e la fine del primariato di Sergio Vaccaro (nella foto in alto a sinistra) al Pronto soccorso del “San Giovanni di Dio”. Diciassette mesi di “passione” conclusisi con una lettera di dimissioni approdata perfino in Parlamento e intervallati da 32 lettere con le quali Sergio Vaccaro annunciava «l’imminente collasso del Pronto soccorso». Oggi afferma: «Spero tanto che le mie dimissioni servano a dare dignità e aiuto agli ammalati».Lo abbiamo incontrato e, inevitabilmente, la nostra conservazione comincia dalla fine del suo rapporto di lavoro con l’Asp: «Se hanno accettato le mie dimissioni in maniera esecutiva – afferma Vaccaro – significa che non vedevano l’ora di cacciarmi e invece di collaborare con me, per dare dignità al malato, mi hanno visto come il nemico».
Perché si è sentito nemico?
«Inizialmente, chiedevo verbalmente di trovare delle soluzioni perché il Pronto soccorso, dopo il Covid, si trovava in una condizione di disastro strutturale e di organico. Così, non avendo ricevuto riscontro, ho messo tutto nero su bianco ma, invece di aumentare, l’aiuto al Pronto soccorso continuava a diminuire con soluzioni che non si sono mai concretizzate mentre, di contro, il personale continuava a scemare. Più volte, con i turni scoperti, la direzione di presidio mi diceva di non avere risorse e io stesso sono stato oggetto di disposizione di servizio. Ma vede, il problema non risiede nel mio sacrificio ma nel trovare la luce in fondo al tunnel. Quindi, anziché essere supportato, con le mie lettere, sono stato criticato e addirittura, a seguito di una missiva, mi è stato risposto di non essere in grado di svolgere il ruolo di primario, che alcuno può dare ciò che non ha».
In una delle tre ispezioni, il Nas ha trovato delle degenze non utilizzate…
«Non al Pronto soccorso, forse nelle Unità operative. Credo non serva riempire i reparti di ammalati quando mancano medici, infermieri e operatori sociosanitari. Sarebbe, invece, utile sistemare l’ammalato nei reparti in cui può essere bene assistito. Anche sotto il profilo strutturale, al Pronto soccorso si registrano delle criticità. Prendiamo l’Astanteria come esempio: le porte di entrata sono anche vie di fuga, non possono essere chiuse se non con il maniglione antipanico, quindi consentono il libero accesso. Poi ci sono l’ubicazione del Triage, i lavori della struttura commissariale all’esterno per cui il paziente che accede in Pronto soccorso con mezzo proprio deve entrare e chiedere aiuto per essere trasportato dentro con una barella o sedia a rotelle, eccezione fatta, ovviamente, per il 118».
A distanza di 21 giorni dalle sue dimissioni, l’Asp ha chiesto l’aiuto del prefetto, medici liberi professionisti hanno accettato di indossare il camice bianco nell’area di emergenza, i cardiologi sono scesi in campo garantendo turni. Qual è la sua chiave di lettura?
«Credo che le mie dimissioni abbiano fatto svegliare la direzione strategica. La stessa direzione che ha sostenuto come io, pur essendo il primario, sono sempre un medico e posso coprire la sala. Lungi dal non farlo, ma la mia posizione in sala, per ovvi motivi, non mi permette di coordinare e svolgere l’attività di primario. C’è una emergenza e questo è confermato dall’aiuto che il commissario Zappia ha chiesto al prefetto. Cosa che non è stata fatta quando io scrivevo le lettere. Immagini che non mi hanno mai chiamato a un tavolo di lavoro, nemmeno a quello relativo ai lavori di ristrutturazione del Pronto soccorso per i quali, invece, hanno chiesto il parere del direttore del Dipartimento di Emergenza. Devo dire che l’anno scorso, quando il commissario Zappia ha riunito i primari, mi sono illuso perché pensavo che le lettere avessero ottenuto qualcosa. In realtà, l’aiuto per il Pronto soccorso continuava a venire sempre meno. Consideri che è un’area che registra una media di 4.500 accessi al mese, 150 al giorno che raddoppiano nel periodo estivo. Ho anche scritto una lettera all’Ordine dei medici affinché sollecitassero l’intervento della direzione dell’Asp. Oggi, la situazione attuale, legata anche al sit-in dei sindaci, dimostra come io non abbia alcuno sponsor. Non sono stato chiamato da alcun politico locale. Sono lungi dalla politica, sono per il cittadino. Ho dimostrato di non essere attaccato alla poltrona e che lavoro per l’ammalato. Non sono stato supportato e ne ho un grosso rammarico. Mi chiedo, perché stanno pensando dopo un anno ai medici italo-argentini quando a Mussomeli sono già attivi? Perché non lo hanno fatto prima?»
Ritiene ci sia un gioco di potere politico dietro la vicenda?
«Non ne ho idea. Sicuramente non sono ben visto dalla direzione strategica, destinataria di lettere con le quali chiedevo aiuto. Ma nessuno mi ha sostenuto».
Quanto tempo si impiega per definire la parte amministrativa per ogni paziente? Con il Fast track, il paziente può essere dimesso direttamente dal reparto in cui viene visitato, accorciando i tempi…
«Il Fast track è sempre esistito. Il problema è che spesso i consulenti di fast track non chiudevano le schede, rallentando di molto il computer tant’è che l’ho scritto in una delle mie lettere. Molti medici non lo fanno imponendo al paziente di ritornare al Pronto soccorso per la documentazione».
Come si è sentito quando ha firmato e consegnato le dimissioni?
«Speranzoso che questa mia ulteriore protesta potesse dare dignità all’ammalato».
E se dovessero chiederle di tornare in servizio?
«A quali condizioni? Il fine ultimo deve essere l’ammalato. Potrei farci un pensierino se l’obiettivo è di aiutare l’ammalato in condizioni dignitose. Ma non è detto. Credo che a questo punto, tutti dobbiamo riflettere: il Pronto soccorso è di tutti e tutti ne possiamo avere bisogno. Le mie lettere e le mie dimissioni? Ho perso il posto da primario ma ne sono fiero, pur di migliorare la dignità dell’ammalato e l’organizzazione strutturale e dei medici perché in un anno e mezzo le mie lettere, il mio grido d’allarme, è rimasto inascoltato. Ho anche consegnato brevi manu una lettera all’assessore della Salute. Ma non c’è stato seguito».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA