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Il ricordo

Capaci, Rosaria Costa: «Non sono solo quella di “Io vi perdono…”. Sono anche una donna dalla vita spezzata»

La vedova di Vito Schifani, uno dei giovani agenti che persero la vita nell'attentato al giudice Falcone, ricorda ma lontano da Palermo

Di Redazione |

Rosaria Costa era la moglie di Vito Schifani, uno degli uomini della scorta di Giovanni Falcone morti nell’attentato di Capaci 31 anni fa. Il suo grido di dolore e accusa nella chiesa di San Domenico a Palermo durante i funerali, «Io vi perdono – disse agli uomini della mafia – ma voi vi dovete mettere in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare..», rimase uno dei momenti più iconici della storia della lotta alla mafia degli ultimi trent’anni.

L’appello di Rosaria Costa Schifani durante i funerali

Lontana dai luoghi dell’eccidio

Oggi però Rosaria o Rosa Costa non è più al centro delle celebrazioni, come racconta all’ANSA, preferisce passare il 23 maggio a Pescara, con Domenico Trozzi, generale della Polizia in pensione, un vecchio amico e mentore di Vito «Lo aiutò da ragazzo e lo portò ad amare la divisa» ricorda. «Non mi piace tornare nei luoghi dove è morto Vito, preferisco ricordarlo con i suoi amici cari».In una lunga intervista con l’ANSA Rosaria Costa racconta cosa vuol dire essere protagonisti proprio malgrado, di uno degli episodi più efferati della storia italiana, della prima strage di mafia che aveva come obiettivo il giudice Giovanni Falcone. «Io la morte di Vito la vivo come se avessi un marchio – racconta Rosa Costa – umanamente uno cerca di dimenticare, per poter vivere una vita normale, ma ogni volta io sento dentro di me Vito, come se mi dicesse “Io non volevo morire tu devi parlare di me”.”

Il messaggio di legalità nelle scuole

Così la vedova di Vito Schifani, non ha rinunciato a portare il suo messaggio di lotta, di resistenza alla mafia, soprattutto andando nelle scuole. «Quando vado nelle scuole riesco ad essere me stessa perché nei ragazzi non vedo la curiosità morbosa ma vedo la voglia di ascoltare con la purezza di un giovane».Rosamaria ebbe un figlio con Vito che aveva appena quattro mesi quando è morto il padre, nonostante questo anche lui da grande ha voluto indossarne una e adesso è capitano della Guardia di Finanza. «In mio figlio non c’è quell’odio che è scaturito dopo la strage» spiega Rosaria Costa, che ricorda invece la rabbia della gente di allora. «La gente era esausta, incattivita – dice – ricordo quel giorno in chiesa che dopo il funerale le persone di ribellavano contro le autorità, e tiravano le monetine, ricordo soprattutto le urla delle mamme, della mamma di Vito di Rocco di Antonio». Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, gli altri due uomini della scorta che morirono il 23 maggio a Capaci.

Anche la vedova Schifani ebbe i suoi momenti di sconforto “Anch’io reputavo colpevoli le istituzioni all’inizio – spiega – perché non li avevano tutelati abbastanza».

Un libro e la vita spezzata

Oggi Rosaria Costa ha deciso di scrivere un libro, un’autobiografia con i tipi di Rizzoli, il titolo è “La mafia non deve fermarvi”. «L’ho fatto per sfogarmi – si confessa – perché Rosaria Costa non è solo la donna del funerale; a Rosaria Costa avete rovinato la vita. Ho raccontato anche altre cose, ma penso che lo scopo fosse questo: raccontare una vita spezzata».

Dov’è Vito?

«Io seppi della morte di Vito da un mio amico. Mi telefonò e mi disse ‘Rosaria, dov’è Vito?». “Vito sta lavorando” risposi “Guarda che c’è stato un attentato al giudice di Falcone, ci sono dei morti”, racconta ancora Rosaria Costa.

Vito Schifani

«Chiamai la Questura ma mi risposero che non sapevano nulla e caso mai di guardare il telegiornale». Rosaria trova una coppia di amici che l’accompagnano, prima vanno sotto il palazzo di Giovanni Falcone dove sta la postazione fissa di agenti della scorta. «Mi avvicino ad un poliziotto che con la ricetrasmittente chiede notizie e mi dice ‘Signora suo marito è sotto shock si trova al Policlinico». Quindi inizia la corsa al policlinico, ma anche lì non sanno nulla e provano a tranquillizzarla.

L’incontro con il giudice Borsellino

«Ero uscita senza nulla, senza borsa – ricorda – praticamente ero scappata di casa mi ricordo avevo un bavaglino del bambino in tasca». «Ad un certo punto si avvicina un poliziotto, Gaetano, che aveva cantato l’Ave Maria al nostro matrimonio, e me lo dice». Rosaria Costa va da sola verso l’obitorio, lì incontra, per la prima volta, il giudice Paolo Borsellino. «Era andato a portare un pò di carità cristiana a quei tre ragazzi, fu un gesto bello».

Paolo Borsellino verrà ucciso 57 giorni dopo con un’autobomba in via D’Amelio sotto casa della madre. In quei due mesi Rosaria lo incontra altre due volte ma il giudice ha lasciato un’impressione fortissima sulla donna. «Lo incontrai la seconda volta in chiesa durante il funerale – continua la signora Costa – perché sia il giudice Borsellino che io stavamo dietro, non ci siamo staccati per un attimo dalle bare lui a quella del suo grande amico Giovanni Falcone e della moglie e io a quella di Vito».Il terzo incontro avvenne a casa del magistrato dove venne invitata insieme al prete che officiò il funerale. «Mi doveva consegnare la lettera di una signora francese e mi stupì molto quell’invito in fondo me la poteva far arrivare – racconta -. In quel momento riuscii a percepire l’umanità di quella persona perché io ero felice che un uomo dello Stato mi avesse invitato a casa sua, non so mi sembrava una cosa bella». Si commuove Rosaria a quel ricordo. «Era una persona straordinaria – continua – una persona di questa caratura così non l’ho più ritrovata. Era pieno di speranza! Lui era certo di fare giustizia.. ne era certo come se avesse già la risposta in mano». «Invece – conclude con amarezza – qualcuno aveva già programmato la sua morte».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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