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L’omicidio di Enzo Fragalà fu un delitto mafioso: condanne degli assassini sono definitive
Trenta anni per Antonino Abbate, ritenuto l’esecutore materiale del pestaggio a colpi di bastone, a 24 anni per Francesco Arcuri, boss del Borgo Vecchio e ritenuto il mandante, e 22 anni per Salvatore Ingrassia, che fece da palo
Diventano definitive le condanne per l’omicidio dell’avvocato ed ex parlamentare di Alleanza Nazionale, Enzo Fragalà, ucciso a bastonate sotto il suo studio legale a Palermo nel febbraio del 2010. I giudici della Prima sezione penale della Cassazione hanno rigettato i ricorsi presentati dalle difese degli imputati Antonino Abbate, Francesco Arcuri e Salvatore Ingrassia. Viene così confermata, come chiesto dal sostituto procuratore generale della Cassazione Giuseppina Casella, la sentenza del 28 marzo di un anno fa della Corte d’Assise d’Appello di Palermo con la condanna a 30 anni per Antonino Abbate, ritenuto l’esecutore materiale del pestaggio a colpi di bastone, a 24 anni per Francesco Arcuri, boss del Borgo Vecchio e ritenuto il mandante, e a 22 anni per Salvatore Ingrassia, che fece parte del commando con funzioni logistiche.
All’udienza che si è celebrata questa mattina era presente in aula Marzia Fragalà, figlia del penalista ucciso e anche lei avvocato rappresentata insieme ai suoi familiari dagli avvocati Enrico Sanseverino e Enrico Trantino.
In apertura della requisitoria il sostituto procuratore generale della Cassazione Casella ha voluto rendere omaggio all’avvocato Fragalà. ‘«Rendo omaggio in questo luogo all’avvocato Fragalà, vittima di un’aggressione brutale in quanto avvocato, ammazzato perché avvocato», ha detto Casella. «La principale critica mossa in questa sede dai tre imputati riguarda le dichiarazioni rese da Antonino Siragusa, condannato ormai in via definitiva (condannato in Appello a quattordici anni ndr): un fil rouge – ha detto il sostituto procuratore generale – che collega i tre ricorsi. I giudici di merito su questo punto hanno escluso qualsiasi inquinamento delle dichiarazioni, nè intenti calunniatori. Il contesto mafioso in cui è maturato questo delitto è lo stesso degli imputati e proprio lì è maturato il movente: occorreva impartire una lezione a Fragalà, che, secondo la loro visione, non faceva l’avvocato ma lo “sbirro”».
Per i giudici l’omicidio Fragalà fu una «punizione dei boss mafiosi». «Ritiene questo Collegio – si legge in un passaggio delle motivazioni della Corte d’Assise d’Appello di Palermo – come già aveva ragionevolmente ritenuto la Corte di primo grado, sulla scorta di una lettura complessiva e articolata di tutte le emergenze processuali, comprese le dichiarazioni sul punto rese da uno degli autori materiali del delitto, Antonino Siragusa, che il movente del delitto per il quale si procede ricolleghi l’aggressione ai danni del professionista ucciso ad una sorta di punizione che Cosa Nostra voleva infliggere a un avvocato ormai additato come “sbirrò”».
Nelle motivazioni dell’Appello si evidenzia inoltre come «la considerazione dell’avvocato Fragalà fosse ormai ai minimi livelli possibili, almeno ai distorti occhi degli esponenti di vertice delle famiglie mafiose palermitane».
Nel procedimento sono costituite parti civili anche la Camera penale di Palermo, il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Palermo, il Consiglio nazionale forense, il Comune di Palermo e l’associazione Antonino Caponnetto. Rigettati i ricorsi degli imputati, accolte le richieste della procura generale.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA