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LA STORIA

«Io, ex schiava del sesso, a Catania sono riuscita a ricostruire la mia vita»

Dalla Nigeria alla Sicilia col sogno di diventare parrucchiera. Ma dopo la traversata in mare trova una “prigione”

Di Laura Distefano |

Le unghie sono laccate di rosa. I capelli, nerissimi e lunghi, sono legati in una coda bassa. Gli occhi sono due ceppi di castagno ardenti.  Il viso è un quadro dipinto sulla pelle color cacao, dove spiccano gli zigomi alti e le labbra carnose. Honest, un nome di pura fantasia, ha deciso di aprire il suo cuore. Di raccontare la sua storia che parte dalla Nigeria. Una trama ricca di inganni. Si è ritrovata prigioniera di alcuni criminali – trafficanti di esseri umani – che si sono approfittati di lei. Schiava in un mondo creato ad arte da chi l'aveva reclutata.

Lei, orfana, sola e straniera, non ha avuto altra scelta che prostituirsi per poter pagare quel maledetto documento. Ma quando ha cominciato a capire, a comprendere la lingua, Honest è scappata. E ha trovato rifugio a Catania. E qui ha cominciato una nuova vita. Anche se ancora alcuni iter burocratici non conclusi la fanno sentire in un limbo. E c'è sempre la paura che qualcuno un giorno possa dirle che deve tornare indietro. 

«Non è facile», mormora mentre gira nervosamente con un cucchiaino un caffè latte.  Il suo sguardo si alza alla ricerca di qualcosa. Forse qualcosa a cui aggrapparsi. «E' meglio che mi fai le domande», dice dopo diversi minuti di silenzio. Ne basta una per aprire la diga che bloccava il fiume del racconto. «Ho deciso di lasciare la Nigeria dopo che mia madre è morta. Improvvisamente mi sono trovata sola. Una mia amica, che per me era come una sorella, mi ha proposto di andare in Libia per cominciare a lavorare come parrucchiera. Lei aveva il contatto con una donna che già viveva lì. Io ho studiato per questo mestiere e ho sempre avuto il sogno di poter avere un salone tutto mio. Ho detto sì. Pensavo che ci saremmo messi in macchina e saremmo arrivati. Invece ci hanno messo in un furgoncino, assiepati. Il viaggio è stato lunghissimo».

Poi, finalmente, arrivano a destinazione. Honest conosce la donna che  le avrebbe immesse nel mondo degli hairstylist. Le trova anche vitto e alloggio. Le prime settimane sembrano procedere abbastanza bene. Anche se dovranno affrontare  i  problemi sugli spostamenti. «Io sono cristiana, in Libia sono musulmani. La donna non può muoversi liberamente, ci sono delle restrizioni anche sull'abbigliamento».

Ma l'incubo comincia quando scarseggiano i clienti e mancano i soldi per pagare l'affitto, la bolletta della luce. Honest si blocca. Il caffè latte è ancora quasi tutto nel bicchiere. Le dita picchiettano nervose sul vetro. «Non ho avuto scelta», dice a testa bassa. Non pronuncia mai la parola prostituta. Ma non c’è bisogno. Nella voce tremolante si sente l'imbarazzo e la paura del giudizio. Anche se la più crudele giudice di se stessa alla fine è lei. «Mi sentivo sempre più male. Non ero andata in Libia per fare quella vita. La mia amica ha trovato un contatto con una donna che viveva a Torino, in Italia. Ci hanno parlato di un luogo dove avremmo potuto finalmente realizzare la nostra attività. Io sinceramente non sapevo quanto fosse lontano Torino dalla Libia. Ma  la cosa che più mi interessava era andare via. E quindi non ho nemmeno riflettuto molto. Abbiamo preso contatto con l’uomo che avrebbe organizzato il viaggio e siamo partite. Abbiamo pagato una somma, ma quello che non sapevo è che il costo era molto più alto. E  quindi avevo un debito che poi avrei dovuto saldare appena arrivata in Italia».

Dietro in realtà c’è molto di più. Honest entra in contatto con un’organizzazione di trafficanti di esseri umani e diventa una vittima di tratta. Anche se lo scoprirà solo dopo. «Avevano fatto tutto alle mie spalle, io non sapevo nulla», ancora spiegazioni. Giustificazioni.  

È il 2015 quando la mettono in un barcone. Quel viaggio nel mar Mediterraneo diventa l’inferno. Non riesce a trattenere le lacrime. «La mia amica si sente male in barca. Non respirava bene. Muore. Per me era come una sorella, ho perso una persona di famiglia».

Honest, appena ventenne all’epoca, è nuovamente orfana. Lo sbarco avviene in Sardegna. Finisce in un centro d’accoglienza, da lì chiama la donna di Torino. «Avevo solo quel numero di telefono», racconta. Mentre si trova nella struttura un uomo la avvicina e la fa scappare. Dalla Sardegna al capoluogo piemontese. «Ero disperata, ancora fortemente scossa per la morte della mia amica». Honest si muove con un automa ed entra nella casa della “madame”.

«Era un appartamento grande, con un salone e sei stanze. Una era per me». Quando cerca di chiedere per poter uscire, muoversi, cercare lavoro la bloccano. La fanno spaventare. «Mi hanno detto che servivano 3000 dollari per avere il documento. E non potevo rischiare di andare in giro perché la polizia mi avrebbe fermato e quando avrebbero scoperto che non avevo quel documento mi avrebbero rispedito nel mio paese. E io avevo paura di tornare indietro. Io non sapevo nemmeno il valore dei soldi, non conoscevo l’italiano e gli italiani non parlano l’inglese».

Honest deve guadagnare i soldi per poter ottenere il visto e non rischiare il rimpatrio. Ma prima c’è da saldare i costi del viaggio. «Non ho avuto scelta. Ero scappata dalla Libia e mi sono ritrovata a dover fare la stessa vita». Un’altra volta si sente con le spalle al muro e quella casa diventa la sua prigione. Ma i “clienti” sono la sua porta con l’esterno. E piano piano si rende conto di essere stata ingannata e usata. Ma servono tre anni per aprire gli occhi.

Cominciano quindi i litigi. «Nonostante gli avessi dato i soldi il documento non arrivava mai. La donna, che mi ha sempre dato un nome falso, mi rimandava sempre l’arrivo dell’avvocato. Alla fine ho capito che non sarebbe mai venuto».

La sua speranza di poter “evadere” ha il volto di un senegalese. Il suo salvatore. «Grazie a lui ho preso i miei risparmi e sono scappata. Così sono arrivata a Catania nel 2018».

In Sicilia tutto cambia. Tramite La Comunità di Sant’Egidio conosce un avvocato e intraprende l’iter per poter avere il permesso di soggiorno. Una strada ancora in itinere. Ma nel frattempo Honest lavora, si innamora e diventa mamma. «Quello che mi è accaduto è un trauma che forse non supererò mai. La vita è stata molto dura con me, ma la vita può essere anche dolce», dice stringendo le mani di suo figlio. La sua eredità. La sua speranza.    COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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