Italia
Regeni: Cassazione,giusto processo anche se crimine efferato
In Stato diritto deve passare da contraddittorio tra le parti
ROMA, 09 FEB – “Il perseguimento delle condotte criminose, anche se efferate e ignominiose quali quelle oggetto di impuntazione” in uno Stato di diritto deve passare “attraverso il rispetto delle regole del giusto processo” nel pieno ed effettivo contraddittorio tra le parti. Lo si legge nelle motivazioni della sentenza con cui il 15 luglio scorso la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso della Procura di Roma contro la decisione del gup che ha disposto la sospensione del procedimento su Regeni, disponendo nuove ricerche degli imputati a cui notificare gli atti. E’ immune da “vizi logici e giuridici”, scrive la prima sezione Penale della Cassazione, la valutazione secondo la quale “le qualifiche soggettive degli impuntati all’interno delle forze di polizia o degli apparati di sicurezza egiziani, la partecipazione di alcuni di essi al team egiziano incaricato di collaborare con gli inquirenti italiani nel caso Regeni, il fatto che alcuni di loro siano stati in quella sede sentiti quali persone informate dei fatti circa le indagini svolte in Egitto, e la rilevanza mediatica, anche internazionale, del processo italiano, non sono concludenti al fine di ritenere raggiunta la certezza della conoscenza da parte degli imputati del processo a loro carico”. Secondo la sentenza, la giustizia italiana è tenuta “ad applicare senza strappi il tessuto normativo, garantista e rispettoso dei diritti di tutte le parti processuali” e il superamento della situazione che impedisce la partecipazione degli imputati al processo “appartiene alle competenti autorità di governo, anche alla luce degli obblighi di assistenza e cooperazione” che discendono dalle Convenzioni internazionali. In particolare la Cassazione cita la Convenzione contro la tortura e altri trattamenti o punizione crudeli, inumani o degradanti di New York, ratificata con legge dall’Italia nel 1988 e dall’Egitto nel 1986.