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IL COMMENTO

La mafia, il lessico del silenzio e il coraggio della verità

Manifestare contro Cosa nostra adesso non basta più. È il momento delle consapevolezze. Ognuno torni a fare il proprio dovere

Di Bia Cusumano |

Sembrerebbe ossimorico parlare del lessico del “silenzio”, eppure è il linguaggio della mafia, fatto da parole centellinate, spezzettate, monche, occhi torvi e chini, capi che si abbassano, cenni d’intesa, appena qualche monosillabo. È un lessico che passa attraverso il silenzio di chi si dice tutto perché già sa cosa deve fare, cosa deve accadere, come deve agire. È una lingua mistificante e mistificatoria che deforma le parole usandole non per la verità ma per le menzogne. Nella mia esperienza di docente e da cittadina castelvetranese, mi sono imbattuta spesso in questo lessico che ho definito una cappa di piombo, una camicia di forza, un vero e proprio bavaglio al quale ho risposto con il lessico delle parole pronunciate e proferite con forza e coraggio, senza alcuna mistificazione o deformazione. 

Essere intellettuali a Castelvetrano e dire la verità passa attraverso questo salto necessario e inevitabile, da una tipologia di lessico a un altro completamente opposto. È il momento di smettere di tacere. Il silenzio è indice sempre di collusione e connivenza. 

Manifestare contro la mafia adesso non basta più, organizzare fiaccolate, sit-in, cortei non basta più. È il momento delle consapevolezze e del coraggio. Ognuno torni a fare il proprio dovere, con senso etico e rispetto profondo per chi ha creduto e continua a credere nelle Istituzioni e nei valori di libertà, giustizia, onestà, lealtà che esse rappresentano. Mettere a tacere è mafia. Girare lo sguardo altrove è mafia. Far finta di non aver visto o sentito è mafia. Non può bastare più sentirsi innocenti perché non si è fatto saltare in aria il corpo di un altro essere umano, perché non si è stati il mandante o l’esecutore materiale di un omicidio. Si è colpevoli se si è visto e per paura si è taciuto. Indurre gli altri con intimidazioni e velate minacce a tacere è atteggiamento mafioso, difficile da sradicare ma non impossibile. Bisogna ripartire come se l’arresto di Matteo Messina Denaro fosse l’anno zero per la Valle del Belìce e per tutta la Sicilia.

È necessario che lo Stato faccia sentire la sua presenza a tutti i cittadini, alla gente che ha visto in questo fantasma di carne o il boss innominato e innominabile o un mito favoloso e leggendario ma comunque colui che assicurava, se pur tacitamente, lavoro e favori a molte famiglie che non avrebbero potuto sbarcare il lunario o risolvere problemi impellenti. 

Se Matteo Messina Denaro è stato in molti modi protetto, favorito e gli è stato concesso di essere, restare ed operare nel proprio territorio, le colpe non vanno cercate soltanto nella gente comune che in maniera omertosa vedeva, sapeva, sentiva e non ha mai parlato. Troppo facile e comodo far passare la Sicilia per una terra tutta mafiosa e tutta collusa. Perché è proprio in questa vacatio dello Stato, in questi interstizi e vuoti di presenza che si è insinuata la mafia sostituendosi con il suo lessico del silenzio allo Stato e al linguaggio delle parole dette e pronunciate a voce alta, senza paura di ripercussioni, vendette e punizioni. Acquisire il coraggio della verità e superare il lessico del silenzio o essere colpevolizzati e massacrati perché si è parlato a testa alta e senza paura è un percorso arduo, tutto in salita. 

Trenta anni di latitanza sono tanti, troppi e la vittoria dello Stato è e resta monca. Ricostruire trenta anni di storia di stragi, uccisioni, carneficine, attentati, non è possibile sia compiuto in poche settimane. Occorre molto tempo, pazienza, forza e tanto coraggio. È il momento che nessuno punti il dito per condannare chi ha il coraggio di dire e raccontare la verità. È il momento di parlare a cuore aperto alle nuove generazioni tenute all’oscuro appositamente di ciò che è accaduto in questi trenta anni. 

La scuola, come ente primario di formazione, può e deve fare molto. Io da docente ho sempre parlato nelle mie classi di mafia e antimafia, di legalità e senso etico delle parole, perché credo fermamente che le parole possano cambiare le rotte e i destini, possano cambiare le vite e avere un potere salvifico. Aggrappata a questa salda certezza ho insegnato e insegno ai miei giovani il coraggio della verità anche a costo di pagare un prezzo alto.

La dignità vale più della vita. Da intellettuale e scrittrice so di essere in trincea, lo accetto e da sempre combatto contro questo sistema di collusioni e di connivenze mafiose. Ancora oggi non cedo né ad intimidazioni né a subdole provocazioni. È ben altro il mio ruolo e il contributo che sento di dover dare ai mei giovani e alla mia città, oggi martoriata e messa in ginocchio ma che può rialzare la testa, lo sguardo e riscattarsi dal marchio infamante di essere la città che ha dato i natali ad un boss leggendario. “In principio era il Logos”. Bene, il mondo nasce e si ricrea attraverso le parole. È ancora possibile rinascere e rifondare un nuovo modo di esistere e stare al mondo, un nuovo modo di narrarlo ai nostri giovani rinnegando ogni giorno il lessico del silenzio e tornando ad usare il lessico della verità. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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