LA CONVALIDA DELL'ARRESTO
I “pizzini” di Giovanni Luppino, «la persona più vicina a Messina Denaro, custode dei segreti del boss»
Le parole del Gip e quelle dei pm nella ordinanza di custodia cautelare per il fiancheggiatore arrestato con il capomafia
«Un coltello a serramanico della lunghezza di 18,5 centimetri, due cellulari posti in modalità aereo prima di essere spenti, oltre ad una lunghissima serie di biglietti e fogli manoscritti con numeri di telefono, nominativi e appunti di vario genere, dal contenuto oscuro e di estremo interesse investigativo». Sono gli oggetti trovati a Giovanni Luppino, autista del boss Messina Denaro, elencati dal gip che oggi ha disposto nei suoi confronti la custodia cautelare in carcere.
Secondo il giudice Fabio Pilato, che ieri aveva convalidato l'arresto in flagranza di Luppino è «necessario un approfondimento investigativo sul rinvenimento dei numerosi pizzini dal contenuto opaco, che potrebbero schiudere lo sguardo a nuovi scenari». Decidendo il carcere per l’autista del boss, accusato di favoreggiamento e procurata inosservanza della pena aggravati dal metodo mafioso «trattandosi di un soggetto a stretto contatto con il noto latitante può senz'altro presumersi che egli (Luppino ndr) sia custode di segreti e prove che farebbe certamente sparire se lasciato libero».
Nonostante sia incensurato, «deve sottolinearsi che, per quanto allo stato è dato sapere, l'indagato risulta la persona più vicina allo storico capo della mafia trapanese su cui forze di polizia giudiziaria e magistratura siano riusciti ad oggi a mettere le mani», hanno scritto invece i pm di Palermo nella richiesta di convalida dell’arresto e di ordinanza di custodia cautelare per Luppino.
Luppino è dunque un «collaboratore certamente fidato», scrivono ancora i magistrati, dell’ultimo boss stragista «capace di mantenere fino ad oggi l’anonimato e il suo stesso stato di latitanza a fronte di centinaia di arresti di fiancheggiatori e decine di prossimi congiunti, verosimilmente custode di verità inerenti le pagine più cupe della storia repubblicana». E che Luppino fosse perfettamente a conoscenza di chi fosse colui che si celava dietro l’identità di "Andrea Bonafede", i pm lo hanno ribadito in un altro passaggio della richiesta. L’autista di un boss, affermano è «necessariamente un soggetto di assoluta fiducia della persona "accompagnata"» e «inevitabilmente al corrente del delicato compito affidatogli».
«E come mai – aggiungono – potrebbe essere il contrario», soprattutto nel caso di specie in cui il latitante è un capo mafia latitante da 30 anni. Luppino ha quindi «contribuito, in senso materiale e causale, alla prosecuzione della latitanza: facendogli da autista e accompagnatore personale ha certamente garantito» al boss «possibilità di spostamento in via riservata senza necessità di dover ricorrere a mezzi di locomozione direttamente condotti dallo stesso latitante o mezzi di locomozione pubblici o privati che potessero in qualche modo esporlo alla cattura».
Allo stato, concludono i magistrati, «nessun elemento può consentire di ritenere che una figura che è letteralmente riuscita a trascorrere indisturbata circa 30 anni di latitanza, si sia attorniata di figure inconsapevoli dei compiti svolti e dei connessi rischi, ed anzi, l’incredibile durata di questa latitanza milita in senso decisamente opposto, conducendo a ritenere che proprio l’estrema fiducia e il legame saldato con le figure dei suoi stessi fiancheggiatori, abbia in qualche modo contribuito alla procrastinazione nel tempo della sua cattura che, altrimenti, sarebbe potuta effettivamente intervenire anche in tempi più risalenti». COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA