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La mafia senza Messina Denaro: quale padrino verrà dopo “U siccu”?

Non è da escludere che lo stesso boss arrestato abbia già "formato" chi è destinato a prendere il suo posto

Di Laura Distefano |

«Lo abbiamo preso». L’urlo liberatorio e poi l’abbraccio. Gli ufficiali del Ros, dopo trent’anni, hanno assicurato alla giustizia il criminale più ricercato. Matteo Messina Denaro, il boss dei boss di Cosa nostra, da ieri è in gattabuia. Lo Stato ha vinto. Ma nella guerra contro le mafie il tempo di festeggiare purtroppo dura poche ore, perché già da stamattina gli investigatori sono tornati al lavoro per fiutare la riorganizzazione della criminalità organizzata siciliana. 

L’interrogativo – diventato ieri un tormentone – è chi prenderà il posto del padrino di Castelvetrano? Molti indizi sono disseminati nelle ultime inchieste antimafia che da Palermo a Trapani hanno fatto “terra bruciata” attorno a Matteo "u siccu". Bisogna saper leggere tra le righe di ogni intercettazione, lettera, pizzino finito sotto i radar delle forze dell’ordine. Messina Denaro, consapevole della sua grave malattia, potrebbe anche aver già scelto il suo “successore”. Potrebbe aver “formato” il suo delfino dopo l’operazione a cui si sarebbe sottoposto diversi mesi fa in Sicilia. Il mafioso ha deciso di tornare nella sua terra d’origine – o forse c’è sempre rimasto -, calcolando tutti i rischi. Quasi un’abdicazione dal trono di Cosa nostra che ora è rimasto senza “re”. «Sappiamo per esperienza che la mafia ha sempre saputo sostituire in modo rapido ed efficiente i propri capi, proprio per questo sarà indispensabile capire quale situazione ha lasciato il boss catturato», è l’avvertimento del segretario dell’Associazione nazionale funzionari di Polizia, Enzo Marco Letizia. Enzo Ciconte, professore di Storia delle mafie italiane al Collegio Santa Caterina dell’Università di Pavia, rispondendo alla una domanda dell’Ansa -. «Sarà stato lui stesso a far crescere il suo delfino?» ha detto: «E' probabile che qualcuno lo abbia cresciuto, anche se non sappiamo chi. Questo è fuori discussione. Però dalla latitanza è molto più complicato». Questo arresto sicuramente ha indebolito la mafia siciliana, ma la guerra contro Cosa nostra non è stata vinta. «E’ chiaro – aggiunge Ciconte – che la sua cattura segna una battuta d’arresto di questo tipo di mafia. Questo però non significa, e non vorrei che su questo ci fosse un’illusione ottica, che avendo catturato Messina Denaro ormai abbiamo sconfitto la mafia. Questo non significa che la mafia è battuta. E’ ancora viva e soprattutto si muoverà su un terreno molto subdolo che è la penetrazione nell’economia». 

Questo arresto, dunque, porta pesanti ripercussioni negli assetti del crimine organizzato dell’Isola che da tempo ha perso terreno rispetto alla ‘ndrangheta, sempre più forte. «La ‘ndrangheta – dichiara Ciconte – è più potente e non c’è dubbio, è fuori discussione. Lo dicono i fatti, perché la mafia palermitana, dopo le stragi, i collaboratori di giustizia, le catture di Riina, Provenzano e di tutti quanti i componenti della cupola, si è indebolita moltissimo». «Si osserva che la mafia siciliana non gode più di quelle tutele e protezioni che arrivavano dalle Americhe. Oggi Cosa nostra isolana è più sola. E anche una malattia può segnare la fine di una storia criminale», gli fa eco Salvatore Lupo, docente di Storia contemporanea dell’Università di Palermo. Da tempo la commissione di Cosa nostra – così come la raccontò Tommaso Buscetta al giudice Giovanni Falcone – non si riunisce. Da trent’anni per l’esattezza. Dall’arresto del defunto capo dei capi, il corleonese Totò Riina.  Qualche anno fa alcuni capi mandamento riprovarono a sedersi tutti attorno allo stesso tavolo ma l’inchiesta Cupola 2.0 fermò ogni “ambizione” di unire le forze mafiose. 

Una cabina di regia però all’interno di Cosa nostra ci sarebbe. Nella relazione della Dia del 2021 si legge che «la direzione e l’elaborazione delle linee d’azione operative risultano esercitate perlopiù da anziani uomini d’onore detenuti o da poco tornati in libertà». Quindi anche se non sarebbe più operativa la “commissione” che deliberava stragi e delitti, in questi anni la mafia siciliana avrebbe continuato a muoversi secondo la «strategia della sommersione» tanto caldeggiata dallo scomparso Bernardo Provenzano  e per questo si sarebbe provato di ricomporre la «tradizionale convivenza con lo Stato». Un po’ come accadeva negli anni Ottanta a Catania, dove il capomafia Nitto Santapaola inaugurava concessionarie d’auto facendosi fotografare con prefetti e questori. Cosa nostra quindi avrebbe cambiato pelle. Anche se, per essere più precisi, sarebbe tornata alla sua vecchia pelle. Quella prima dell’ascesa dei Corleonesi. Dove Cosa nostra era quasi uno “Stato parallelo” accanto a quello ufficiale. «Quella di oggi – dice il professore Lupo – ripercorre le strade delle origini. Dove prevale l’inabissamento». 

Queste ore dopo la cattura comunque sono cruciali. Messina Denaro è considerato il custode di molti “segreti indicibili” soprattutto collegati alle zone d’ombra delle Stragi. «Se dovesse parlare e se tutto quanto da lui detto venisse riscontrato e verificato, si aprirebbero scenari impensabili», commenta l’ex presidente nazionale della Commissione antimafia Nicola Morra. Ma per molti esperti l’ipotesi di una collaborazione del padrino è assai improbabile. «Bisogna comunque sperare che le carte e i documenti permettano agli inquirenti di delineare ancor meglio cosa è successo quanto meno negli anni ‘92-‘93» ha chiosato Morra. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA