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La cupola dei trasporti, processo Caronte: arriva la Cassazione

Molte le conferme da parte della Suprema Corte. Per Enzo Ercolano, figlio del defunto Pippo, annullamento con rinvio per l'associazione mafiosa. Per il resto la sentenza è definitiva. 

Di Laura Distefano |

Enzo Ercolano dovrà tornare in Corte d’Appello. Il rampollo della famiglia di Cosa nostra – figlio del defunto Pippo e fratello dell’uomo d’onore e killer Aldo – dovrà affrontare infatti un’altra pagina del capitolo dell’inchiesta Caronte, scattata nel 2014, in quanto è arrivato per un capo d’imputazione l’annullamento con rinvio da parte della Cassazione. Si tratta, come si evince dal dispositivo della seconda sezione della Suprema Corte, del capo A1 riguardante l’associazione mafiosa dal 2009 al 2014.  

 È invece confermata la responsabilità – e quindi è diventata irrevocabile la sentenza – per tutte le altre imputazioni riguardanti la sua capacità di imporsi sul mercato degli autotrasportatori con violenza e minacce, ma pure con le estorsioni.  Infatti la Cassazione – si legge ancora – ha rigettato il ricorso su questi capi.    Ercolano (definito lo “stratega” della famiglia nell’affare) per i giudici ermellini è «stato in grado di imporre le proprie regole nel mercato dei trasporti su gomma in regime di sostanziale monopolio utilizzando il metodo mafioso». Inoltre ha costretto alcuni “padroncini” a rinunciare a dei lavori già ottenuti o a ritirare offerte in modo da farli accaparrare ai “bisonti” del colosso di   famiglia. Enzo Ercolano, a piede libero dal 2020, in secondo grado è stato condannato a 10 anni di reclusione. Ora l’appello bis – sulle direttive della Cassazione – dovrà rivalutare l’apparato probatorio sull’appartenenza del fratello di Aldo  a Cosa nostra, che è composto oltre che dagli elementi acquisisti dal Ros anche dalle dichiarazioni di svariati pentiti, fra cui Santo La Causa.  Il processo Caronte – nato da un’articolata inchiesta del Ros –   ha un po’ ripercorso la storia imprenditoriale (e criminale) degli Ercolano. Partendo dal boss Pippo, morto nel 2012, che creò l’Avimec Trasporti poi confiscata nel 1997. Dalle ceneri della società nacque Geotrans, che finì sotto amministrazione giudiziaria e poi fu confiscata in modo definitivo. Quando lo Stato mise le mani sull’azienda,  gli Ercolano costituirono una cooperativa, che poi attraverso la cessione di un ramo d’azienda dell’impresa individuale di uno dei figli, la sorella  Cosima, diventò operativa nell’estate del 2014. La società R.C.L  è stata considerata dai giudici “la tappa conclusiva” del percorso cominciato con Avimec e proseguito con Geotrans. L’impresa, dopo la confisca, è gestita oggi da una cooperativa di lavoratori e quando si entra negli uffici della ditta  di logistica si trova il volto del giornalista Pippo Fava, che è stato ammazzato per volere proprio di Aldo Ercolano, fratello dell’imputato.  Ma torniamo al processo e  alla sentenza della Cassazione. Sono otto le posizioni che hanno impugnato  la sentenza di secondo grado. La Suprema Corte ha disposto il rinvio anche per le statuizioni della confisca di una piccola impresa riferibile a Cosima Ercolano, sorella di Enzo, e per Michele Guardo (condannato in appello a 7 anni) limitatamente al mancato riconoscimento delle generiche. Per il resto il ricorso dei due è stato rigettato: anzi  per Guardo è stata “dichiarata irrevocabile la sua responsabilità in ordine al reato di cui al capo A1”, che è appunto quello di associazione mafiosa.     Sono stati dichiarati inammissibili i ricorsi (e, quindi, a questo punto le condanne sono definitive) di Enzo Aiello – l’ex reggente finanziario di Cosa nostra è stato condannato in appello a 5 anni – Bernando Cammarata (un anno), Sergio Cannavò (5 anni), Concetto Di Stefano (cognato di Ercolano), Francesco Guardo (10 anni) e Giuseppe Scuto (7 anni).   Quest’ultimo è  stato considerato dai magistrati uno degli imprenditori a    “supporto” di Enzo Ercolano.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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