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Tutta la verità sull’autonomia differenziata: un salasso per il Sud. Ma in Sicilia non importa a nessuno

Il provvedimento per le regioni a statuto ordinario penalizza il meridione. Regione siciliana muta, parlano solo i leghisti. Silenzio anche Pd e M5s 

Di Mario Barresi |

Il tema non è di quelli che dividono le masse. L’autonomia differenziata non porta con sé quella suggestione che, nel bene e nel male, ha ad esempio il dibattito sul Ponte. Eppure, su uno dei primi provvedimenti annunciati dal governo nazionale, la Sicilia – assieme a molte altre compagne di sventura del Meridione – rischia di essere vittima di un’enorme emorragia di risorse. Destinate, in totale controtendenza rispetto alle scelte politiche dell’Ue, al ricco Nord. Ma con una differenza sostanziale: mentre altrove c’è aria di rivolta, con i governi regionali (in trincea quelli di centrosinistra, ma anche nel centrodestra si sollevano voci di critica perplessità) nell’Isola tutto tace. Dalla maggioranza, che magari ha tutto l’interesse di silenziare un progetto sul tavolo del governo Meloni; ma anche dagli esponenti siciliani delle opposizioni, tanto a Roma quanto a Palermo, per i quali l’argomento sembra non esistere.

Partiamo dal dettaglio. Il provvedimento parte dalle intese fra lo Stato e tre Regioni del Nord (Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna) il 15 febbraio 2019, previste dal terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione. Con una dettagliata lista delle funzioni da trasferire: 20 per la Lombardia, 23 per il Veneto e 16 per l’Emilia-Romagna. Il che significa soldi. Quella di maggiore rilievo è l’istruzione scolastica e universitaria, pari al 13% della spesa regionalizzata dello Stato; soltanto per i lombardi ballano 5,6 miliardi sui 34 totali per le Regioni a statuto ordinario; per il Veneto quasi 3 miliardi per l’Emilia-Romagna 2,8 miliardi. Altre simulazioni parlano di un taglio di 1,4 miliardi, soltanto per la scuola, al Mezzogiorno per portare la spesa attuale al costo standard, inteso come media nazionale. Un meccanismo perverso, basato sul costo del servizio sul quale pesano soprattutto gli stipendi. Che, visto che al Nord ci sono docenti molto più giovani che al Sud, hanno un costo diverso: in Lombardia e in Veneto la spesa statale per studente è intorno ai 3.800 euro l’anno,  in Sicilia quasi a 4.900 e in Basilicata addirittura 5.600. La media italiana, lo standard, è di 4.346 euro: e dunque lo “spreco” meridionale da tagliare sarebbe di circa 1,4 miliardi.

Sui “conti” del regionalismo differenziato c’è uno studio, pubblicato da LaVoce.info, firmato da due due docenti di Economia, Leonzio Rizzo e Riccardo Secomandi. I quali calcolano lo scenario della cosiddetta “clausola di salvaguardia”. Cosa succederebbe, cioè, se la questione dei fabbisogni standard, da sempre in alto mare, non venisse definita. In quel caso alla Lombardia andrebbero trasferimenti compensativi per 1,8 miliardi; all’Emilia-Romagna per 468 milioni e al Veneto per 367 milioni. Altri enti con spesa-pro capite molto bassa trarrebbero vantaggio, a partire dal Piemonte (368 milioni). Drastico invece il taglio  per Lazio (quasi 1,8 miliardi) Campania (696 milioni), Basilicata (265) e Calabria (-261).

Nella tabella, comprendente soltanto le Regioni a statuto ordinario, la Sicilia non c’è. Ma una stima sul danno potenziale circolava già all’epoca del ddl di Mariastella Gelmini, “antenato” del provvedimento a cui sta ora lavorando il ministro leghista Roberto Calderoli. Un approfondito dossier di Repubblica, nel 2019, citava i 10,6 miliardi di “residuo fiscale”, la differenza cioè fra tasse riscosse in una regione e spesa pubblica. Anche su questo c’è però una disputa: secondo la Cgia di Mestre, la Sicilia ha un “vantaggio” di 10,6 miliardi, mentre secondo la Regione la cifra si ferma sotto i due miliardi.

Su questa prospettiva, al di là della disponibilità di Calderoli a studiare le proposte alternative delle Regioni («alcune sono più avanti di me, soprattutto del Mezzogiorno, quindi intendo usare il metodo richiesto da loro come proposta a livello nazionale») al Sud c’è una vera e propria sollevazione istituzionale. Alla quale non sono insensibili FdI e Forza Italia, che frenano il ministro per gli Affari regionali sullo scalpo da portare a Matteo Salvini.

Il governatore campano, Vincenzo De Luca, è il più spinto: «La bozza è irricevibile», la “cura” di Meloni per il sud «non mi è chiara – osserva -. Se la ricetta è quella di Calderoli, il Sud è morto». Critico anche un altro dem come Michele Emiliano (Puglia), che parla di «un disegno antidemocratico che, da un parte, vuole dare ai più ricchi quello che viene tolto ai meno ricchi».

Ma anche da altri colleghi di centrodestra arrivano segnali di attenzione: il forzista Roberto Occhiuto proprio ieri ha riferito al Consiglio regionale della Calabria, invocando l’unità di tutti gli schieramenti. «Ho detto al ministro Calderoli che l’approccio che io vorrei che il Mezzogiorno avesse nei confronti dell’autonomia differenziata e del federalismo non un atteggiamento difensivo, ma privo di complessi e senza sudditanza psicologica nei confronti delle Regioni del Nord».

E in Sicilia? Sembra che non gliene importi a nessuno. Renato Schifani non s’è espresso sul tema, delegando Luca Sammartino alla Conferenza delle Regioni con Calderoli. Ma si dà il caso che il vicepresidente della Regione sia leghista, di certo il meno propenso a fare le barricate. Pur mostrando onestà intellettuale sulla questione: «Siamo pronti ad ascoltare, dialogare, parlare, ma la Sicilia e il Sud – afferma Sammartino – devono recuperare il gap e i livelli di assistenza e poi discuteremo di autonomia differenziata. Vogliamo capire, approfondire e quindi rivendicare quanto spetta alla nostra Regione. La nostra posizione è prima di tutto quella di tutelare gli interessi della Sicilia e comprendere a fondo cosa ci porta l’autonomia differenziata».

Il paradosso è che a esprimersi sono soltanto esponenti della Lega, come il deputato regionale Vincenzo Figuccia: «La riforma su cui già lavora il ministro Calderoli va condivisa con le Regioni ed è per questo che condivido l’approccio che il presidente Schifani sta dando al tema affinché ogni fase dell’iter sia concordata per non avere dopo amare sorprese, soprattutto quando a farne le spese potrebbero essere proprio le regioni del Meridione ed in particolare la Sicilia». E conclude: «Non abbiamo dogmi ma siamo attenti e vigili affinché  la riforma sia la migliore possibile per la Sicilia».

Per il resto tutti zitti. Compreso l’ex ministro del Sud (per una ventina di giorni: dalla nomina del 22 ottobre alla redistribuzione delle deleghe l’11 novembre) Nello Musumeci, che già da governatore s’era detto «non contrario al regionalismo differenziato». Ora, da titolare del Mare e della Protezione civile, ma soprattutto da esponente meloniano di punta, non ha alcuna ragione per sollevare polveroni sul tema. Il silenzio che fa più impressione è quello delle opposizioni: esponenti di Pd e M5S, a livello nazionale e nelle altre regioni, sono in prima linea contro «una misura iniqua» definita «spacca-Italia».

Ma nessuna di queste voci arriva da siciliani. E dire che fra i dem c’è pure un altro ex ministro del Sud, Peppe Provenzano, e che i grillini devono la loro sopravvivenza elettorale ai voti meridionali e siciliani in particolare. Nemmeno Cateno De Luca, di solito sempre sul pezzo, ha fiatato su quella che il suo omonimo campano, Vincenzo, continua a definire «una condanna a morte per il Sud».

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