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Private equity, una “piramide democratica”piena di rischi e di costi

Di Redazione |

È questo in sintesi il grido d’allarme che da tempo si alza dai numerosi centri di analisi finanziaria avanzata, in cui si sottolinea come la diffusione dei fondi di private equity e il peso crescente che hanno acquisito negli anni avrebbero iniziato a distorcere i mercati.

Dell’espressione private equity, il significato deve essere inteso come “investimento in capitale privato”. Ma un fondo di private equity cos’è e quanto può essere vantaggioso per gli investitori partecipare a simili attività?

Si tratta di fondi d’investimento chiusi, a cui cioè si può accedere a discrezione e alle condizioni stabilite dal fondo stesso, che investono in società non quotate. L’obiettivo di questi fondi è supportare una rapida crescita delle aziende partecipate ed eventualmente accompagnarle alla quotazione in Borsa, rivendendone il capitale detenuto con profitto.

In teoria i fondi di private equity dovrebbero investire in azioni e non in obbligazioni, per evitare di caricare di debito le partecipate. In realtà – come segnala tra gli altri il Financial Times in un recente articolo a firma Robin Wigglesworth – “acquistano le imprese con un misto di capitale proprio (equity) e debiti, che sono poi scaricati sull’impresa acquisita sfruttando la deducibilità fiscale degli interessi. Ciò accresce il ritorno sull’equity, ma anche i rischi finanziari”.

FONDI DEMOCRATICI MA COSTI ARISTOCRATICI

Si tratta di investimenti ad alto rischio e a lungo termine,in società non quotate caratterizzate da ipotetiche “grandi potenzialità”che sono in grado di dispiegarsi però solo nell’arco di molti anni, da cinque a dieci. Con l’unica certezza dei costi di gestione che il fondo incamera degli investitori: costi ingresso (1-2%), costi ricorrenti (2-4%), commissioni di overperformance (fino al 20%), e così via.

IL GRIDO D’ALLARME DI ANALISTI ED ECONOMISTI

Investire nei fondi di private equity può convenire, all’apparenza, perché – secondo una ricerca realizzata dai professori dell’Università della Florida Blake Jackson, David Ling e Andy Naranjo sulla base di quasi due decenni di dati sui fondi immobiliari di private equity – “i gestori di fondi di private equity possono anche manipolare i rendimenti per soddisfare i loro investitori”.Mikkel Svenstrup, chief investment officer di ATP (che investe circa 150 miliardi di dollari in fondi di private equity) ha dichiarato al Financial Times che questi grandi veicoli finanziari rischiano di trasformarsi in “uno schema piramidale”, visto che investono tra loro e si scambiano investimenti per “mimetizzare” i rischi. Anche“utilizzando finanziamenti ponte, fondi a leva e tutti quei trucchi che vengono usati per manipolare l’IRR”, il tasso di rendimento interno comunicato agli investitori.

E su questa strada prosegue l’allarme del gestore Maurizio Novelli di Lemanik riportato dalle colonne di Milano Finanza, ma soprattutto la dichiarazione Vincent Mortier, Chief Investment Officer di Amundi AM, secondo cui “alcune parti del private equity sembrano in un certo senso uno schema piramidale”.Per chiudere con il recentissimo intervento dell’economista Sergio Bragantini su Il Domani dal titolo esplicativo: “La prossima crisi finanziaria partirà dai fondi di private equity”.

CONVENGONO O NON CONVENGONO?

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