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Rama, ‘contrabbando di vaccini? Ovviamente era un paradosso’

'Parola usata scherzosamente, l'Italia ci aiutò in momento buio'

Di Redazione |

ROMA, 10 OTT – “Sono sbalordito per il fatto che la mia confessione su una simbolica quantità di vaccini che ci è stata regalata dall’Italia nel momento più buio della pandemia possa dare addirittura l’ispirazione di prendere sul serio la parola ‘contrabbando’ da me usata per descrivere scherzosamente una collaborazione fraterna che ha salvato vite umane. Mi sento in obbligo di sottolineare che quello che la stampa ha riportato del mio intervento di ieri a Bergamo sull’invio di vaccini dall’Italia è chiaramente il racconto di un paradosso che in nessun caso non si può interpretare traendo fuori contesto una parola usata scherzosamente”. Lo precisa il premier albanese Edi Rama tornando sul suo intervento di ieri all’evento ‘La Cultura salverà il mondo’, alla presenza anche del responsabile della Farnesina. “Il governo italiano – spiega Rama – ha infatti risposto a una richiesta ufficiale dell’Albania in un momento di grandissima difficoltà del mio Paese a causa della pandemia. Come ho detto, si trattava di una richiesta di emergenza e di una quantità simbolica di vaccini al fine di poter cominciare a vaccinare il nostro personale medico e paramedico. Non intendevo certo dire sul serio che, insieme al ministro Di Maio o ad altre istituzioni italiane, abbiamo fatto contrabbando, ci mancherebbe altro! Tanto più che queste dosi sono state donate dal governo italiano all’Albania e utilizzate in un momento di grave emergenza”. “Da parte italiana – prosegue il premier albanese – è stato anche un segnale di gratitudine per l’invio, in una fase critica dell’epidemia di Covid in Italia, di nostro medici e infermieri a sostegno di un Paese fratello. Sarà sempre un grande piacere raccontare questa operazione e onorare l’Italia, Luigi Di Maio e Giuseppe Conte per quella boccata d’ossigeno in pieno rischio asfissia per un intero popolo, sperando che nessuno abbia la cattivissima idea di arrampicarsi sulle singole parole come facevano i censori della libertà di espressione nei tempi bui dello stalinismo in Albania”.

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