REGIONE SICILIANA
Giunta e Ars, gli “incastri proibiti” di Schifani e la matematica delle poltrone
Il governatore ieri benedetto ad Arcore. Da lunedì trattativa sugli assessori. Per legge potrebbe durare un mese. Il toto-nomine tra equilibri e scontri interni
Adesso il vero problema, per Renato Schifani, non è la Salute (intesa come assessorato, già fonte di tensioni fra Palazzo d’Orléans e Forza Italia che lo rivendica), né tanto meno l’Economia, la delega più delicata con ben pochi profili all’altezza. Per il governatore neo-eletto, di rientro dal breve tour al di sopra dello Stretto (giovedì a Roma, ieri ricevuto per due ore ad Arcore da Silvio Berlusconi, con «pieno apprezzamento e condivisione» sulle linee guida di governo), la materia più complicata sarà la Matematica. Una scienza esatta applicata a una realtà approssimativa e caotica come la politica siciliana.
Da lunedì Schifani comincerà il giro di “consultazioni” con i partiti del centrodestra. Il primo sarà proprio il suo, Forza Italia, con un incontro a cui prenderà parte, oltre ai 12 eletti all’Ars (al netto dello stesso governatore), la delegazione di assessori e deputati uscenti. Sarà il primo vertice bilaterale di una lunga serie: già lunedì stesso, o al massimo martedì toccherà a FdI, poi Lega, Autonomisti e Nuova Dc.
Una sequenza che magari culminerà con un vertice plenario di maggioranza, ma che comunque è destinata a durare a lungo. Anche perché la legge regionale 26/2020 (la stessa che introduce l’obbligo di un terzo di donne in giunta) introduce un’inedita prassi istituzionale: gli assessori, «prima di assumere le funzioni» devono giurare «dinanzi al Presidente della Regione, al cospetto dell'Assemblea regionale siciliana nel corso di una seduta pubblica». E la nuova Ars non potrà insediarsi prima d’inizio novembre. Fino a quel momento, la stessa legge prevede che dovrà essere proprio Schifani ad adottare «gli atti di ordinaria amministrazione» di «competenza della Giunta regionale»
Ma il governatore non vuole farsi logorare da un mese di tensioni sul toto-nomine. «Renato ci ha detto che si prenderà il tempo necessario per confrontarsi con tutti – racconta un’autorevole fonte della coalizione – e poi chiederà a ogni partito una rosa di nomi dalla quale sceglierà la sua squadra. Ma vorrebbe chiudere il cerchio in un paio di settimane».
Il presidente della Regione, con garbata risolutezza, ha già fornito agli alleati l’identikit dell’assessore-tipo: «Politici-esperti, con competenze specifiche». Con una postilla fatta trapelare ieri dallo staff di Schifani che «sta lavorando per formare una giunta composta da politici eletti, tranne qualche singola eccezione per la peculiarità della materia legata alla delega».
Ma la questione è innanzitutto matematica. A partire dalla constatazione che Schifani non potrà scontentare nessuno, poiché tutti compresi Autonomisti e Nuova Dc, con un minimo di 5 seggi a testa, all’Ars possono mettere a rischio la pur robusta maggioranza di 41 deputati su 70. L’altro nodo algebrico riguarda la formula di spartizione dei seggi: il 4-4-2-1-1 inizialmente ipotizzato (con 4 assessori a testa per FdI e Forza Italia, 2 alla Lega e uno a testa per le due forze non nazionali, a rischio di quorum) è già stravolto dal risultato delle urne. E adesso il modulo in voga è il 3-3-2-2-2. Raffaele Lombardo e Totò Cuffaro avrebbero la doppia poltrona, così come la Lega (pronta a esprimere anche il vicepresidente della Regione), con i due partiti più grandi ritenuti “compensati” dalle due cariche più importanti: il governatore forzista e il presidente dell’Ars ai meloniani.
Ma Salvo Pogliese mette in dubbio questo nuovo equilibrio: «Siamo nella stessa situazione del 2017, quando Forza Italia ebbe la presidenza dell’Ars e quattro assessori. E noi, lo voglio ricordare, abbiamo inoltre rinunciato alla ricandidatura di Nello Musumeci». Il coordinatore regionale di FdI, oltre alla leadership nella coalizione in Sicilia con dati quasi appaiati a Forza Italia, si fa forte anche del ruolo di Giorgia Meloni futura premier.
Che siano tre o quattro, «ma comunque di prima fascia» (Pogliese ha esplicitato Sanità, Agricoltura, Infrastrutture e Attività produttive), nel partito c’è già una certa ressa. Anche per la presidenza dell’Ars, con il derby fra il palermitano Alessandro Aricò e l’etneo Gaetano Galvagno, con quest’ultimo favorito dalla prassi che escluderebbe la coincidenza delle due massime cariche regionali nella stessa città. Il terzo incomodo è il ragusano Giorgio Assenza, molto stimato anche dalle opposizioni. Se Galvagno, molto vicino e gradito a Ignazio La Russa, dovesse spuntarla, per Aricò, il più votato a Palermo, ci sarebbe un assessorato “pesante”.
Ma anche su questo tema c’è maretta nel partito. Con uno scontro, per ora sotterraneo, fra meloniani doc e ultimi arrivati musumeciani. «Si sono presi sette deputati su tredici, Nello aspira a un posto al governo… Cosa vogliono che gli consegniamo il partito restando a bocca asciutta?», si sfoga una fonte della vecchia guardia. In cui emerge una certa apprensione per le voci secondo cui, nel passaggio di testimone Musumeci-Schifani, ci sia una “clausola di salvaguardia” per Ruggero Razza: magari non di nuovo alla Salute, ma con un ruolo di governo, eventualmente ereditabile dalla moglie Elena Pagana non eletta all’Ars.
Ma i pretendenti sono tanti: dalle deputate Giusi Savarino e Elvira Amata fino alla prima dei non eletti a Palermo, Brigida Alaimo (favorite dal fatto che tutti gli alleati devono indicare una donna, con deroga solo per la Lega), passando per un «nome forte» espresso dall’ala catanese dello stesso Pogliese, identificabile in Basilio Catanoso.
Nemmeno in Forza Italia c’è un accordo sulla “rosa” da fornire a Schifani. Gianfranco Miccichè ha una sua top list. Il più sicuro, a oggi, è il fedelissimo nisseno Michele Mancuso. Un altro posto va all’area degli ex Sicilia Futura di “Mr. Preferenze” Edy Tamajo. Per il leader forzista l’ideale sarebbe pescarlo a Catania: Nicola D’Agostino, che gli darebbe l’alibi perfetto per far fuori l’odiato Marco Falcone, forte però di una «garanzia personale» di riconferma ai Trasporti da parte dello stesso Schifani; ma si dà il caso che nelle ultime ore Tamajo, prima orientato a un ruolo di vice all’Ars, cominci a rivendicare l’assessorato per se stesso.
E poi c’è la croce e delizia della Salute. Miccichè la pretende. Con un nome pronto da tempo: Daniela Faraoni, gradita anche a parte della Lega. Ma sulla manager del’Asp di Palermo sarebbero arrivati segnali di freddezza dal governatore. «Ha altre idee», sostengono fonti forziste. Tant’è che il viceré berlusconiano di Sicilia pensa ora a Toti Amato, presidente dell’Ordine dei medici di Palermo. I più smaliziati parlano di una preferenza del governatore per Ciccio Cascio, primo dei non eletti a Palermo, che Schifani sarebbe lieto di nominare in uno scenario che vedrebbe Miccichè “richiamato” a Roma da Licia Ronzulli, con il futuro assessore alla Salute pronto a rinunciare al subentro per dare spazio all’iper-schifaniano Pietro Alongi, che – se così non fosse, magari perché Cascio preferisce il posto sicuro all’Ars – potrebbe trovare comunque spazio in giunta. Lo stesso che s’ipotizza per Stefania Prestigiacomo, rimasta fuori dal Senato e ora “riserva della Regione”.
Miccichè non conferma alcuna delle voci riferitegli da La Sicilia. Ma chiarisce: «La cosa più bella di questa nuova legislatura è che, diversamente dalla precedente, i partiti hanno piena autonomia nell’indicare i propri assessori. Poi, certo, sarà facoltà del presidente Schifani dire, motivandolo, se c’è qualcuno che magari non gli piace…»
La Lega chiede «almeno» due poltrone in giunta, una delle quali con i galloni di vice-Schifani. Il nome più caldo è quello di Luca Sammartino, che potrebbe mettere a frutto (in sintonia con la linea Schifani) le competenze maturate in materia di Lavoro, magari accoppiate alla Formazione. I salviniani new generation vorrebbero valorizzare i più votati fra gli uscenti non rieletti: il siracusano Giovanni Cafeo e l’agrigentino Carmelo Pullara. Un desiderio che, oltre a tagliare fuori il palermitano Francesco Scoma (ancora in credito per il ritiro da candidato sindaco), entra in rotta di collisione con la linea del segretario regionale, Nino Minardo, che chiede «l’Agricoltura per un ragusano». Ovvero: Orazio Ragusa, altro deputato rimasto fuori dall’Ars. Dove la Lega punta alla vicepresidenza, chiesta da Vincenzo Figuccia, oltre alla «guida di almeno una commissione pesante».
E Cuffaro? L’ex governatore non fa mistero che gradirebbe «l’Agricoltura, dal quale è partito il mio percorso politico». Se dovesse ottenerla ha già pronto «il profilo di un tecnico di grande livello». In caso contrario la Nuova Dc «esprimerà due assessori che rispecchino l’esito delle urne nei territori». E in questo modo smentisce le voci su Santino Scirè, espressione catanese delle Acli, ammettendo che la quota rosa potrebbe essere rappresentata dalla neo-deputata palermitana Nunzia Albano. In lizza anche Ignazio Abbate, ex sindaco di Modica, caterpillar elettorale nel Ragusano.
Anche Lombardo è ringalluzzito alla vigilia delle trattative sulla giunta. «Esprimeremo due nomi di grandissimo livello», garantisce. Il plurale è di maestà: entrambi i posti a esponenti dell’Mpa e nessuno ai centristi di Saverio Romano, con il fifty-fifty di un presunto patto pre-elettorale che ora salterebbe alla luce dei risultati delle urne. Il leader autonomista lancia come primissima scelta Roberto Di Mauro. «Sarebbe l’ideale presidente dell’Ars», si lascia sfuggire. Ma, visto che la carica tocca a FdI, per il decano agrigentino di Sala d’Ercole si pensa all’assessorato all’Economia. Un ruolo peraltro scoperto, oltre che molto delicato, già ricoperto in passato da Di Mauro, profondo conoscitore dei conti della Regione, con l’unico deficit di essere esponente di una forza non rappresentata nel governo nazionale.
Le altre carte di Lombardo? C’è di certo il figlio d’arte messinese Luigi Genovese, decisivo per il raggiungimento del 5% regionale (ottima performance pure dell’ennese Francesco Colianni), l’anima catanese del movimento pensa invece all’ex deputato non rieletto Pippo Compagnone. Gli Autonomisti non hanno donne all’Ars. E l’eventuale lacuna potrebbe essere colmata in giunta da un altro ritorno: quello di Mariella Ippolito, che cedette il posto ad Antonio Scavone, sogno proibito di Lombardo per la sempre ambita, ma forse inarrivabile, guida della sanità siciliana.
COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA