L'editoriale
L’Italia al voto per decidere quale futuro vuole darsi
In questa campagna elettorale si è agitato il fantasma del 1948, cambiando colore all’incubo: dal rosso al nero. Il Paese è cresciuto anche se oggi è abbiamo una repubblica ingrigita e dalla salute incerta, ma intimamente forte perché ha sviluppato anticorpi importanti, che vanno anche oltre i contrappesi istituzionali, entrando nel vissuto di ciascuno di noi
Da Alcide De Gasperi a Chiara Ferragni, da Palmiro Togliatti a Peppa Pig. Benvenuti nell’Italia che oggi va al voto per decidere quale futuro immediato vuole liberamente darsi, con l’incubo delle bollette che fa più paura di qualsiasi altro scenario: forse è per miopia, ma oggi mantenere tutte le diottrie politiche è un privilegio. E benvenuti nella Sicilia chiamata anch’essa a scegliersi una guida nella stagione della gestione dei fondi del Pnrr, preoccupata in misura direttamente proporzionale alla fame di lavoro che morde lo stomaco dei nostri giovani.
La sintesi della campagna elettorale climaticamente più calda che si ricordi è tutta qui, nell’iperbole del passaggio dagli statisti all’imprenditrice/influencer e al personaggio di un cartone animato, Chiara Ferragni che sapientemente riempie i vuoti della politica per difendere la legge sull’aborto e sposta più voti di un leader di partito, e Peppa Pig seduta a tavola con due mamme, immagine che fa inalberare i sacerdoti dell’ortodossia familiare (altrui, perché in casa propria magari hanno altri registri di vita). Il calendario ci ricorda che oggi è il 25 settembre del 2022. C’è chi le lancette della competizione politica ha provato a farle girare all’indietro sino a riportarci addirittura al 1948, all’Italia migliore e orgogliosa di avere sconfitto la dittatura fascista mentre l’altra ruffiana e tornacontista era pronta a ripulirsi dalle macchie – altrove sarebbero state indelebili – del Ventennio. Il voto, quel voto, come il vagito di una democrazia neonata, così fragile da portare Dio sin dentro le urne per allontanare l’incubo bolscevico dai nostri confini. «Dio ti vede, Stalin no», ammonivano i manifesti della Dc. Finì come finì, anche se i bolscevichi non sarebbero mai arrivati a piazza Navona, finì che ancora adesso diciamo che «moriremo democristiani». 1948 anno di svolta del secolo breve. Che breve a conti fatti non è stato, visti i continui rimandi al Novecento.
Ma davvero l’Italia che va alle urne vive un secondo 1948, davvero il voto è un referendum, o di qua o di là, con la democrazia in pericolo? Deve crederci chi lo ha detto sino a venerdì sera comiziando nelle piazze o nella comfort zone di un albergo, ma il cosiddetto “Paese reale” ci crede? L’Italia, vivaddio, in questi 74 anni è cresciuta, è una repubblica ingrigita e dalla salute incerta, ma intimamente forte perché ha sviluppato anticorpi importanti, che vanno anche oltre i contrappesi istituzionali, entrando nel vissuto di ciascuno di noi. Eppure in questa campagna elettorale si è agitato il fantasma del 1948, cambiando colore all’incubo: dal rosso al nero. Un’occasione persa, perché polarizzando il dibattito su Giorgia Meloni – di questo stiamo parlando – non si è parallelamente messo con la dovuta forza l’accento sulla visione di Paese che si vuole e si deve avere quindi sui diritti, sull’inclusione, sulla transizione energetica come formidabile leva occupazionale, finendo per giocare lo stesso gioco della leader di Fratelli d’Italia, quello dei toni estremi, senza averne la capacità. Certo, Meloni – con i sondaggi più o meno riservati in tasca – ci ha messo del suo: annunciando la volontà riformatrice di rango costituzionale a prescindere dagli altri, strizzando l’occhio all’ultradestra spagnola e a Orbàn. Chissà perché. Così il centrosinistra – orfano dell’ondivaga sponda grillina e dell’ambiziosa riserva calendiana – è stato spinto a condurre l’ennesima campagna controe non una campagna per, rifugiandosi nell’agenda Draghi. Domani sera sapremo quanto sarà stata premiante questa strategia.
Quello che va a votare è un Paese disincantato che stenta a credere alle promesse mirabolanti delle vigilie elettorali – in Sicilia persino il Ponte sullo Stretto ha perso smalto, surclassato dal reddito di cittadinanza – sentimento di sfiducia che si specchierà nel dato dell’astensionismo. L’Europa ci guarda con giusta preoccupazione. La risposta non è fare spallucce e/o gestacci, ma puntare a (ri)forme governative condivise e non imposte, a guidare il Paese con la consapevolezza che questa stessa Europa unita, di cui l’Italia è socio fondatore, non è né un bancomat né una strega cattiva, piuttosto una scialuppa di salvataggio alla quale una classe dirigente seria e non un’accozzaglia di amici dovrebbe aggrapparsi.
In Sicilia – ritenuta dirimente solo per l’attribuzione di alcuni collegi chiave per il Senato e non per lo sviluppo del Paese tutto – la partita non è dissimile, pur con giocatori diversi. E assume contorni tra Tomasi di Lampedusa e Pirandello, scelte gattopardesche e personaggi in cerca d’autore. A parte l’allarmante déjà vu degli arresti all’antivigilia del voto, la marcia di avvicinamento a Palazzo d’Orléans e a Palazzo dei Normanni è stata smossa dalle piazze riempite da Cateno De Luca, la mina vagante di questa tornata elettorale schiacciata dalla coincidenza con le Politiche: circostanza che avrà un peso in sede di spoglio, perché ha dato maggiore visibilità a chi ha un traino nazionale. Sicuramente sarebbe stata un’altra sfida con in lizza Nello Musumeci – detronizzato per rancori personali e non per divergenze programmatiche, se è vero com’è vero che Renato Schifani ne ha elogiato l’azione di governo un giorno sì e un altro pure – e con il campo largo rimpianto da Caterina Chinnici. Comunque, chiunque vinca sia conscio della responsabilità che va ad assumersi: la Sicilia ha bisogno di scelte nette, di riforme, di trasparenza, di un’interlocuzione forte con Roma e Bruxelles, di coraggio, di speranza, soprattutto di coraggio e speranza, da cui discende tutto il resto. È il paradigma della normalità, quasi dell’ovvietà, ma così è se ci pare (e se andiamo a votare).COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA