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Le confessioni di “Scateno”: «Ecco perché Berlusconi ora ha paura di me»

Miccichè? «La testa ce l’ha sempre lì, alla presidenza dell’Ars». De Luca svela il contenuto delle telefonate notturne col leader forzista. «Nei loro sondaggi io forte anche alle Politiche: noi primo partito, il Cav teme per il seggio della fidanzata»

Di Mario Barresi |

Che Cateno De Luca dorma non più di tre-quattro ore è cosa risaputa. Che trascorra parte della sua iperattività notturna al telefono con Gianfranco Miccichè, uno dei componenti di quella che lui chiama «la banda Bassotti della politica siciliana», è una chicca che lo stesso ex sindaco di Messina ha rivelato sul palco di uno dei suoi comizi-show. E così, a margine del forum a “La Sicilia” (in cui ha parlato del suo programma: «Governerò con i “vaffa”, ma soprattutto con mani libere e competenza»), il candidato governatore s’è lasciato andare a qualche confessione in più. A partire dal rapporto con il leader siciliano di Forza Italia: «Con me è stato sempre leale, così come lo sono stato io con lui». E il dialogo fra i due non s’è mai interrotto. «Io l’accordo con Gianfranco lo potevo chiudere in un minuto. Ma non potevo farlo, perché comunque lui rappresenta un mondo. E, piaccia o non piaccia, lui deve rispondere a quel mondo. Fare un accordo anche con un solo pezzo del centrodestra, significava che avrei dovuto indirettamente rispondere a quel mondo».   Niente accordo, dunque. Così come, a un certo punto, “Scateno” ha interrotto la trattativa (ma non il feeling, che resta molto forte) con Raffaele Stancanelli, mancato candidato meloniano. «La sua discesa in campo, con alcuni correttivi, mi avrebbe obiettivamente messo in crisi, perché a lui – ammette De Luca – riconosco una statura amministrativa che gli altri non hanno. Non candidando Stancanelli il centrodestra s’è suicidato. Ma io ne ero sicuro: noi, con Raffaele, ci incontravamo ogni 15 giorni. E quando lui mi chiedeva di non andare troppo avanti, magari per aspettare che uscisse la sua candidatura, io gli rispondevo: io vado avanti lo stesso, sono sicuro che non dovrò fare alcuna virata, perché la tua candidatura non ci sarà mai, tu sarai ammazzato dai tuoi, al tuo interno. Gli posi una precisa condizione, e cioè che il campo fosse sgombero da Musumeci, ma ero sicuro che si sarebbe verificata quando già era troppo tardi e quando Musumeci aveva già messo un’ipoteca sulla testa di Stancanelli. E così è stato…».   Uno spaccato che serve a ricostruire alcuni passaggi decisivi del recente passato. Ma il punto, adesso, è tutt’altro: perché De Luca e Miccichè si sentono ancora? E soprattutto: cosa si dicono? «Miccichè, e me l’ha ripetuto la scorsa notte al telefono, non si spiega come io abbia sfondato il 15 per cento in Sicilia alle Politiche, nei dati che hanno loro. Per i miei dati siamo al 25: prima forza in Sicilia, prenderemo tre-quattro senatori e due-tre deputati. E quelli di Forza Italia sono fortemente preoccupati, perché se arrivo almeno al 20 per cento prendo tre seggi e a loro saltano tutti i conti. Compreso il posto sicuro della fidanzata di Berlusconi… (e ride, ndr). E Gianfranco, che è uno onesto intellettualmente, mi dice: “Noi avevamo fatto l’operazione election day per schiacciarti e invece ora sei tu che ci stai schiacciando dal basso, rischi di essere il primo partito in Sicilia anche alle Politiche”. Sono parole di Miccichè». A questo punto i (presunti) sondaggi forzisti s’incrociano con il pallottoliere di “Scateno”. «Si sono fatti il conto sbagliato, perché partivano dallo stesso 46 per cento, “Iva” compresa, di cui sono accreditati in Sicilia alle Politiche. Ma l’Iva si calcola sulla base imponibile: loro perdono 10 punti dalla base imponibile, quindi scendono già al 35-36 ed è per questo che Schifani non potrà superare il 30-32 per cento. Io, invece, vincerò col 41 per cento più Iva». Questo il (pantagruelico) calcolo di De Luca nel dettaglio: «La mia lista ammiraglia, Nord chiama Sud, è al 25 per cento, mentre Sicilia Vera è al 7-8. Devo spingere un po’ Orgoglio Siculo, perché non c’è lista a Palermo, che per ora è al 4. Con l’altro un per cento delle liste di testimonianza, arriviamo al 35 con le nostre forze. Il resto è il 5-6 di disgiunto naturale del centrodestra, dove anche ai candidati più radicati nei territori sta vendendo di “acchianata” far votare Schifani presidente». Si arriva grosso modo al 41. E l’Iva? «I tantissimi voti di M5S e Pd: hanno capito che Di Paola non arriverà nemmeno a doppia cifra e che la Chinnici non si vede perché non c’è. Al confronto alla Rai le sono andato subito incontro. “Ciao Caterina, piacere io sono Cateno”, le ho detto sorridendole. E l’onorevole s’è messa paura… Lei, come Schifani, mi evita: sfuggono perché non reggono il confronto sul merito degli argomenti regionali, visto che hanno vissuto in un iperuranio». In questo contesto, nella palla di vetro di De Luca, ci sono anche la Dc Nuova di Totò Cuffaro e gli Autonomisti di Raffaele Lombardo («Loro due sono fuori: non entreranno più in Assemblea») e la Lega dell'ex alleato, one-shot a Messina, Matteo Salvini, che «è molto in dubbio, se raggiunge il quorum è un miracolo».   Il voto disgiunto, per De Luca, non è soltanto un mezzo moto di rivolta di quella parte di elettorato siciliano che risponderà all’appello dei “signori delle preferenze” per l’Ars, ma sceglierà lui come candidato governatore. C’è un “quid” in più.  «Si sta organizzando un partito parallelo, me l’hanno già fatto sapere: facciamo il voto disgiunto per te. Perché adesso il loro problema è dirmelo prima. Nella speranza che Cateno presidente della Regione nei palazzi non faccia solo morti, ma almeno qualche ferito, magari non troppo grave…». Fra gli “iscritti” di questo ipotetico partito trasversale, «pezzi di classe dirigente e deputati del centrodestra», per i quali è «una pratica tecnica naturale, quasi una tradizione», ma anche «molti big di Pd e M5S, che hanno capito che i loro candidati non hanno dove andare».

E in questo contesto si spiega meglio il fitto dialogo con Miccichè. «Lui vuole tornare a fare il presidente dell’Ars, la testa ce l’ha sempre lì», sussurra De Luca in una pausa del forum in redazione. Sottintendendo: la presidenza dell’Ars. Un “sogno proibito”, irrealizzabile con un governatore di Forza Italia. E con “Scateno” a Palazzo d’Orléans ci sarebbe un margine per il bis del nemico-amico? «Allora non avete capito niente. Con me ci sarà un totale rinnovamento della classe dirigente. Voi sarete sbalorditi dalla nullità politica della mia giunta regionale. Vi chiederete: e chi sono questi? Non saranno deputati, né politici, ma ottimi amministratori. Voglio assessori-operai, come quelli che ho avuto a Messina. Gente che lavori con me 24 ore al giorno».  

Sì, ma questo buon proposito non contraddice lo scenario – molto probabile – di un’Ars “balcanizzata”, chiunque sia il presidente della Regione, con la necessità di trovare accordi. Per eleggere la massima carica di Sala d’Ercole, prima che per governare. «La presidenza dell’Ars è un discorso prematuro: bisognerà vedere che numeri ci saranno in aula», frena De Luca pur senza escludere alcunché. Poi, dal display del cellulare, ci mostra la fotografia di un foglietto su cui campeggiano numeri e città. «Questo è un pizzino che ho mandato a Stancanelli il 30 agosto: questi sono i seggi che prenderò. Ne avrò al massimo 21 o 23, più i 7 del listino se vinco. Ma in ogni caso non più di 30. Non sbaglio mai i pronostici. E l’Ars, a quel punto, sarà come la casa di Gesù: chi è entrato non vuole uscire più…». E, mentre ride di gusto, “Scateno” rivendica: «Ma io sono  allenato: a Messina ho governato senza un consigliere comunale. Musumeci, che era partito da 36, dopo l’operazione Attiva Sicilia, aveva 45 deputati sulla carta e sappiamo come è andata finire. Ma v’immaginate che fine farebbe, se fosse eletto, Schifani magari con due o tre deputati in più di quelli che avrei io se vincessi. Non ci ha il fisico, Renatino… E non è manco colpa sua, poveretto…». Twitter: @MarioBarresi  COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA