IL TERREMOTO IN CASA DEM
Regionali: Caterina Chinnici sempre più vicina al ritiro, il Pd pensa all’alternativa
Barbagallo sempre più contestato e liste dell'Ars in alto mare. Cracolici: «Situazioen gravissima, proviamo a salvare il salvabile»
Quando, dopo i classici preliminari con le mozioni d’ordine da azzeccagarbugli dem, sta per aprirsi il fuoco amico su Anthony Barbagallo, lei ha già da un paio d’ore il telefonino spento. Caterina Chinnici s’è presa una notte. L’ultima notte «per rifletterci». E oggi l’ex candidata del campo largo, nel frattempo diventato politicamente un camposanto, comunicherà la sua decisione (il ritiro dalla corsa è molto probabile) a quella che finalmente aveva cominciato a chiamare la sua «comunità politica». Il Pd siciliano. Che, dopo la rottura di Giuseppe Conte, entra in uno psicodramma senza precedenti. Con un’alleanza in frantumi, una candidata che sta per farsi da parte, un segretario regionale a cui qualcuno chiede sin da subito le dimissioni, con le liste nazionali ormai vidimate fra veleni e contestazioni e quelle per l’Ars (da consegnare entro venerdì) ancora in alto mare.
Chinnici è davvero a un passo dal passo indietro. Voci diffuse all’interno dei dem siciliani sostengono che l’eurodeputata mediti questa decisione da tempo e che addirittura «la questione morale sugli impresentabili fosse già un alibi perfetto per farsi dire no dal partito e togliere il disturbo». Ma, adesso che il M5S non c’è più, la tentazione è ancora più forte. Quasi irrefrenabile. «Attraverso le primarie mi era stata affidata la guida di una coalizione che non esiste più. Tanta rispettosa e paziente attesa per ritrovarsi ora in uno scenario stravolto che di fatto azzera tutto e impone nuove riflessioni nel pochissimo tempo rimasto», le poche sibilline parole della magistrata, quasi un anticipo del verdetto che sarà comunicato oggi. Qualcuno, fra gli ultimi speranzosi, si appiglia al marito-consigliere della candidata, Manlio Averna. «Soltanto lui può convincerla a non mollare». Lui come nessuno. Né Peppe Provenzano, più volte in pressing nel corso del pomeriggio, né Enrico Letta, che prova una moral suasion al telefono.
In tarda serata comincia la direzione regionale del Pd, rimandata di giorno in giorno, di ora in ora. «Una partita di tressette col morto», la definisce qualcuno. Anthony Barbagallo, collegato via Zoom da Pedara, parla non più di cinque minuti. Annuncia che di tutti i contrasti sulle liste si discuterà in un’assemblea convocata per l’8 ottobre. Dopo l’election day, «quando lui sarà già scappato a Roma con i suoi prescelti blindati», mugugna qualcuno in chat. Il segretario regionale conferma che Chinnici comunicherà oggi la sua decisione, ma nelle more chiede il mandato per chiudere le liste per l’Ars. Che sono state presentate con molti buchi dalle federazioni provinciali: 8 candidati su 16 a Palermo, appena due a Messina, tre a Caltanissetta, gli elenchi di Siracusa ed Enna non ci sono nemmeno. I presunti impresentabili, intanto, si tirano fuori. Angelo Villari ritira la sua candidatura, anche Luigi Bosco fa lo stesso. Anzi no: «Mi candido all’Ars se sono io il candidato governatore…». Peppino Lupo non s’iscrive nemmeno a parlare, soltanto a mezzanotte ribadirà la sua «disponibilità alla candidatura».
Il più duro è l’orfiniano Antonio Rubino: chiede le dimissioni di Barbagallo, «prima che finisca il collegamento», accusandolo di essere «indegno» per come ha gestito le liste e la trattativa con il M5S. Antonello Cracolici (sul quale si deve votare per la deroga per candidarlo all’Ars) prova a mediare: «La situazione è gravissima, serve un atto di responsabilità per salvare il salvabile. I conti li facciamo dopo…».
Si parla, senza ormai più tabù, di un’alternativa a Chinnici. Lo stesso Cracolici ipotizza «una figura istituzionale del partito», mentre c’è chi pensa a Claudio Fava. Molte, nel corso della serata, le chiamate riservate per sondarlo, soltanto Erasmo Palazzotto, nel corso della direzione, fa esplicitamente il nome dell’ex presidente dell’Antimafia regionale.
Il confronto telematico si trascina stancamente, qualcuno sostiene che «non possiamo aspettare la Chinnici, bisognava sapere cosa vuole fare prima d’iniziare la direzione». Ma alle 23.37 spunta Provenzano. Il vicesegretario nazionale si collega, interviene «in nome e per conto» di Letta. Chiede di «lasciare aperta la direzione» e lancia l’ultimo appello a Chinnici per restare in campo. È un segnale, forse l’ultimo, di speranza. L’appello passa all’unanimità, la notte dei lunghi coltelli s’interrompe come per incanto. E ora s’aspetta lei. Soltanto lei. La candidata dapprima contestata da molti. E adesso implorata. Da tutti. O quasi.
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