L'intervista
Monsignor Renna sul ruolo della politica: «Ripartire dall’umiltà per riconquistare credibilità»
L’arcivescovo di Catania spiega il senso del documento della Cei
Quando Francesco Guccini si arrabbiava rauco sulle note di “Nostra signora dell’ipocrisia” era il 1993, la Prima Repubblica agonizzava, nasceva l’elezione diretta dei sindaci. Erano gli albori del berlusconismo. L’etica nella politica, dopo Tangentopoli, non era più in svendita un tanto al chilo nei “bugiardini” allestiti dalla nuova classe dirigente alla ricerca di farmaci miracolosi acchiappa-consenso in grado di legittimarla. Anzi era il miraggio da riconquistare. Sei lustri più in là, colata a picco l’idea di una moralizzazione compiuta della rappresentanza politica e con i meccanismi di reclutamento del consenso in profonda crisi di partecipazione, la Chiesa italiana fissa una lucida scaletta di quel che serve, mettendo nero su bianco, istanze, bisogni, atteggiamenti diversi da ricercare fuori dal perimetro stretto della convenienza dell’urna.
Monsignor Luigi Renna, arcivescovo di Catania nonché presidente del Comitato scientifico delle Settimane Sociali e presidente della Commissione Cei per i problemi sociali, il lavoro, la giustizia e la pace: cosa manca oggi alla proposta politica italiana? «La politica diventa credibile quando è stabile. Serve forse riflettere sulle modalità con cui si è arrivati a questa crisi di governo, maturata in tempi di grande difficoltà sociale con l’emergenza energetica che potrà creare nuove povertà. Oggi manca una visione attenta a determinati problemi. Abbiamo fatto cenno, nel comitato, alla capacità d’ascolto che serve nei confronti della gente, alle esigenze del territorio. Facendo riferimento alla Settimana Sociale di Taranto, bisogna fare attenzione al grido che la terra ci sta lanciando. È come se la politica fosse sorda a tutto questo».
Quali sono le sfide che non possono essere abbandonate? «Certamente quelle della povertà, della crisi energetica, e della denatalità. Ogni territorio poi racconta la sua storia e i suoi problemi. Nella nostra terra avvertiamo non solo una povertà di natura economica, ma anche culturale. Manca in alcuni casi la cultura del futuro, del riscatto e quella autentica della famiglia».
Quali qualità sono richieste in particolare al politico che si deve fare carico dei problemi del Sud e della Sicilia? «Capacità di analisi profonda, visione e criteri. La mancanza di etica nella politica non si traduce solo nella corruzione, ma anche nel non avere dei punti etici fermi nella propria vita. Nelle visioni ideologiche questi c’erano, potevano essere discutibili, ma non mancavano, oggi questi cardini non sono chiari».
Questo a cosa porta? «È a causa di ciò, faccio un esempio, che il problema della movida diventa più importante di quello dell’assistente sociale di quartiere. Ci vuole un baricentro chiaro e visibile. Altro requisito non meno importante degli altri è quello di dover possedere una grande dose di umiltà. Bisogna saper dire “ho sbagliato, questo non sono riuscito a raggiungerlo” e avere la capacità di sapere uscire in punta di piedi come ha dimostrato Mario Draghi»
Il bisogno di modificare i modelli di welfare spesso si concilia male con la crisi dello Stato sociale. A cosa non si può rinunciare? «Innanzitutto, alla cura dare alle famiglie, agli adulti che non riescono a occuparsi dei ragazzi, e più in generale non si può rinunciare all’intero tema educativo. Va combattuta la dispersione scolastica, mettendo le persone in futuro in condizione di essere cittadini. Nella cultura cristiana la parola individua suona un po' ambigua, indica il singolo. È la persona invece che si relaziona con gli altri».
Internet nella vicenda elettorale rischia di trasformarsi in un canale di demagogia o può servire con un uso meno indiscriminato? «Il politico che si improvvisa tale, a partire dal giorno della presentazione delle liste, è uno che farà male in ogni caso. Con internet e senza internet, se non si è impegnato nella realtà sociale o se non sa avvicinarsi al concetto di prossimità con la gente è già poco credibile. A volte si fa riferimento alla religione da parte dei partiti per beneficiare di un accreditamento presso la gente o presso la Chiesa. Non ci può essere un uso più strumentale di questo. Quella cristiana è un’ispirazione e la dottrina sociale ci dice che non esiste nessun partito che possa monopolizzare la visione cristiana».
Comincia a serpeggiare il timore che si vada nella direzione del “tanto peggio tanto meglio”, come se la minore partecipazione della gente nelle competizioni elettorali possa essere una modalità di semplificazione. È solo una sensazione o un autentico paradosso? «Don Milani diceva: “sporche sono le mani che rimangono in tasca” e sono quelle cioè che fanno il gioco di chi va a votare non per convinzione, ma mosso da un interesse di parte. Questa campagna elettorale inoltre sarà ancora più difficile per via dei tempi molto stretti entro cui bisognerà far passare ogni tipo di messaggio». COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA