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Borsellino: legale Bo, gettato discredito su persone morte

"Su Arnaldo La Barbera ne sono state dette di tutti i colori"

Di Redazione |

CALTANISSETTA, 06 GIU – “In questo processo tutti i testimoni nel momento in cui si sono allontanati dall’impianto accusatorio sono stati accusati di essere conniventi o di voler proteggere gli imputati”. Così nel corso della sua arringa l’avvocato Giuseppe Panepinto, legale di Mario Bo, funzionario di polizia imputato a Caltanissetta insieme ad altri due colleghi, per il reato di calunnia aggravata dall’avere favorito Cosa Nostra nel processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio. Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo sono imputati dinanzi al tribunale di aver indotto il pentito Vincenzo Scarantino, mediante pressioni e minacce, a dichiarare il falso per fare condannare soggetti estranei alla strage. “Nel corso di questo processo – ha continuato Panepinto – abbiamo sentito magistrati che hanno segnato la storia d’Italia, si sono susseguiti nomi eccellenti. Gente che ha fatto indagini su Tangentopoli, persone che hanno smembrato Cosa Nostra. E non è consentito, anche solo su un piano morale, che si getti discredito su soggetti che non sono presenti e non si possono difendere o su gente che è morta e che non può difendersi. Sul dottore Giovanni Tinebra ne hanno dette di tutti i colori. Lui che ha fatto tremare il palazzo di giustizia di Caltanissetta e mezza Italia con le sue indagini. Non si possono accusare coloro che non possono difendersi. Prefetti, questori – ha continuato il legale – che hanno servito lo Stato per anni, sospettati di essersi messi d’accordo per coprire le malefatte degli imputati. E ancora su Arnaldo La Barbera ne sono state dette di tutti i colori, compreso che era un uomo vicino alla mafia”. Arnaldo La Barbera, scomparso nel 2002, era il funzionario di polizia a capo del gruppo “Falcone-Borsellino”, costituito per fare luce sulle due stragi di Capaci e via D’Amelio e di cui facevano parte i tre poliziotti oggi imputati. “Certe cose – ha concluso il legale – non si possono ascoltare in un’aula di giustizia. A maggior ragione su una persona con una brillante carriera come quella di Arnaldo La Barbera. E invece in questo processo diventa una persona “a libro paga della mafia”.

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