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Sant'agata

Percorso storico tra origini di culto e festa

La ricostruzione del prof. Salvatore Maria Calogero con documenti d’archivio e cerimoniali

Di Carmelo Aurite |

Riavvolgendo il nastro della memoria della Festa di S. Agata con il prof. Salvatore Maria Calogero comprendiamo la diffusione del culto di Agata e come è stata istituzionalizzata la festa cittadina in suo onore.  «Parlando delle celebrazioni agatine – spiega il prof. Calogero – occorre distinguere il culto dalla festa. Il culto di S. Agata è quasi immediato alla sua morte nel 251 d.C. Già nel quinto secolo il generale gotico Ricimero cambiò il nome della città Saticola in Sant'Agata dei Goti e a Roma dedicò una chiesa alla martire catanese; nel VI sec. Agata fu raffigurata nei mosaici della chiesa di S. Apollinare Nuovo a Ravenna; altre testimonianze riguardano poi il presunto luogo della sepoltura nella città etnea».  Cosa diversa dal culto invece è la festa. «Secondo il vescovo Maurizio un punto di partenza della festa può essere il 1126 con la traslazione delle reliquie da Costantinopoli a Catania; altro inizio ufficiale dei festeggiamenti si può far coincidere con la realizzazione del busto reliquiario in argento smaltato. I primi documenti che attestano un giro delle reliquie di S. Agata a Catania risalgono al 1400, ma quello ufficiale, che parla del giro attorno alla città, è il cerimoniale di Alvaro Paternò del 1522. Altri documenti sono poi la cosiddetta cronaca del notaio Antonio Merlino, che ci fa sapere che l’antico fercolo di S. Agata era “di lignami” e decorato “alla moderna”, sostituito poi nel 1519 con quello realizzato da Vincenzo Archifel».  L’inizio della tre giorni in onore di Sant’Agata risalirebbe al ‘500. «Alvaro Paternò racconta l’offerta della cera e precisa che i cosiddetti “gigli” o “cerei”, trasportati a spalla da S. Agata la Vetere alla Cattedrale, antesignani delle candelore, venivano commissionati dalle corporazioni agli artigiani locali. Lo storico Pietro Carrera, a metà del ‘600 racconta che i “cerei” venivano portati dalla Porta Iaci alla Cattedrale e, fino al 1750, dopo ogni festa, venivano distrutti. Il Cerimoniale venne riproposto ogni anno fino al ‘700 in forma di atti notarili, oggi conservati sia nell’archivio di Stato sia nelle biblioteche riunite “Civica e Ursino Recupero”, e esposti dalla direttrice dott.ssa Rita Carbonaro nelle mostre dedicate alla Patrona».  Dal 1750 in poi, le candelore furono utilizzate anche negli anni successivi e si cominciò a parlare della festa barocca. Altre curiosità riguardano i primi giorni di febbraio. «Nei cerimoniali del ‘700, si parla per il 3 febbraio della Carrozza del Senato e della corsa dei Cavalli che si svolgeva nei giorni 1 e 2, prima del 1669, dal Castello Ursino alla Porta di Carlo V, e dopo il 1693 nella nuova strada del Corso, oggi via Vittorio Emanuele».  Storia diversa è quella del giro interno. «Per far vedere il fercolo alle monache di clausura il giro fu disegnato e svolto per la prima volta nell’agosto del 1769, a 100 anni dalla disastrosa eruzione e nello stesso periodo della realizzazione della porta Ferdinandea. Venne ripreso e ufficializzato il 5 febbraio del 1846, con inizio dal duomo, per proseguire su via Garibaldi, via SS.ma Trinità, via Vittorio Emanuele, piazza S. Francesco (piazza Dusmet), via dei Crociferi, discesa di via S. Giuliano, via Manzoni, Piazza Stesicoro, Via Etnea, Monastero S. Placido e ancora il Duomo. Questo giro è stato ripetuto fino al 1894, quando si pensò di prolungarlo fino al Borgo». «Dopo due anni, per l’enorme tempo che si impiegava a ricondurre le reliquie della Santa in cattedrale, si ritornò al vecchio giro. Negli anni Trenta del ‘900 fu riproposto il prolungamento sino al Borgo e, soppressi i monasteri nel 1866, le uniche monache di clausura che poterono vedere la festa furono quelle di San Benedetto in via dei Crociferi. Altre modifiche sono state effettuate negli anni Sessanta del ‘900».  (Nella foto in alto la salita dei cappuccini il 4 febbraio nell'acquerello di Jean Houel del 1776)

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