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LA CRISI ALLA REGIONE

I “rottamatori” di Musumeci si incartano sull’alternativa tra «urla disumane» e… parmigiana

Tutta la verità sul vertice Musumeci-Miccichè e il racconto del pranzo del leader forzista con Stancanelli e Lombardo ai quali si propone come candidato. Frenando su Minardo, che ora può far saltare tutto

Di Mario Barresi |

È successo ieri, a Catania.

Scena prima.

PalaRegione, poco prima di mezzogiorno.

Nello Musumeci accoglie Gianfranco Miccichè.

Riferisce il governatore all’Ansa: «Ho iniziato con Miccichè gli incontri con i segretari della maggioranza che sostengono il mio governo. Era giusto iniziare con Forza Italia che è il partito maggiormente rappresentato. Nei prossimi giorni, prima della fine di questa settimana, incontrerò ciascun segretario di tutti i partiti della maggioranza e poi seguirà una riunione collegiale». Il clima? Un incontro «franco, cordiale e costruttivo», fanno filtrare le fonti ufficiali.

Chi era negli uffici catanesi della Regione lo descrive in modo diverso. A partire dalle «urla disumane» che arrivano dalla stanza in cui sono i due presidenti. «Io non cambio, non cambierò mai! Siete voi i traditori!», sbotta Musumeci. E Miccichè: «Fai come vuoi, così ti scavi la fossa da solo». 

Per il resto, fonti di entrambi i versanti la raccontano come «una reciproca presa in giro». Il governatore fa qualche concessione sul «dialogo con i partiti», ma non cede sul «rapporto con i singoli deputati che non mi spetta». E chiarisce subito un concetto: «Ruggero Razza non si tocca. Nella prossima legislatura ne riparliamo, ma io in piena pandemia non lascio la sanità come un’auto in corsa senza guida». Ma il leader forzista non glielo ha chiesto. In mattinata, prima del vertice, anticipa ai suoi la linea: «Gli farò delle proposte irricevibili, così mi dice di no e rompiamo subito».

Ma poi cambia strategia. E, nonostante vada ripetendo da giorni che la crisi di governo «non si risolverà fin quando quel testa di m… non rimette la delega», Miccichè non chiede lo scalpo dell’assessore alla Salute. Né si espone sul suo sogno più recondito: sfruttare l’azzeramento della giunta per cacciare due dei suoi assessori, Gaetano Armao e Marco Falcone. La posizione sul rimpasto è «nessun rimpasto, lascia tutto com’è». Miccichè si limita a sottolineare la «sgradevole» telefonata che il capogruppo di Forza Italia all’Ars, Tommaso Calderone, avrebbe ricevuto dalla segretaria di Musumeci, Alessia Trombino, per incalzarlo su un’altra crisi politica: quella scoppiata a Oliveri, 2.071 abitanti, ridente località abbarbicata sul monte Tindari. Il viceré berlusconiano di Sicilia si lamenta di «tante cose che non vanno», ma non affonda. Né chiede qualcosa, al netto di rassicurazioni su posticini di sottogoverno già comunque suddivisi ma ancora da assegnare.

Infine, quasi come se a nessuno dei due importasse nulla del faccia a faccia, si affida il destino della Regione all’esito degli «incontri con tutti gli altri». Musumeci anticipa a Miccichè l’ideona con cui concludere il giro di vertici bilaterali: «Ce ne andiamo a cena. Prendiamo una pizza, tutti assieme. E tiriamo le somme su tutto». Dove per «tutto» s’intende l’azzeramento della giunta e soprattutto la ricandidatura. Nel centrodestra siciliano, alla notizia, nel pomeriggio si diffonde una doppia scommessa. La prima è che «tanto si pagherà alla romana». La seconda è che «questo giro-pizza non si farà mai».

Scena seconda.

A casa di Raffaele Stancanelli, dalle 13,30 alle 16.

Miccichè pranza con l’eurodeputato di Fratelli d’Italia  e  Raffaele Lombardo.

Le oltre tre ore di conviviale vengono riassunte da scarne dichiarazioni ufficiali dei commensali all’Ansa. Lombardo fa il pompiere: «Mi dispiacerebbe che adesso tutto saltasse a gambe per aria», mentre sarebbe «opportuno fare raffreddare il clima surriscaldato», per questo si dice «impegnato a fare abbassare i toni» e a «verificare nei prossimi giorni come può evolvere la situazione». Il leader autonomista, fresco di assoluzione nel processo per mafia, sembra persino possibilista: «Musumeci ha pensato di potere avere rapporti soltanto con i suoi assessori e non con i partiti della sua maggioranza, ma adesso sembra che la situazione stia per cambiare». Ma in ogni caso sposta, così come fanno tutti, la dead line: «Bisogna attendere l’elezione del presidente della Repubblica». Stancanelli è più che telegrafico: «Il centrodestra deve essere unito, lavorando per rafforzarsi e ampliarsi».

Tutto qui, il vertice decisivo per affossare Musumeci?

Chi ha avuto modo di parlare con i protagonisti, invece, lo racconta in un modo diverso. A partire dall’obiettivo con cui i tre si attovagliano. Miccichè, non pago delle rassicurazioni ricevute da Roberto Di Mauro, vuole accertarsi di persona che Lombardo, affettuosamente definito «Psyco» dal leader forzista, sia davvero intenzionato a staccare la spina a Musumeci; Stancanelli vuole che i due siano in simbiosi contro l’odiato governatore; Lombardo, come sempre, vuole ascoltare e dare le carte. Alla fine, sostanzialmente, ognuno avrà ciò che desiderava.

Ah, quasi dimenticavamo: il menu. In tavola insalata di mare, parmigiana, calamari e pesce spada arrosto con verdure grigliate, tagliata di frutta. Non si tratta di manicaretti fatti con le proprie mani da Stancanelli, ma delivery di una premiata gastronomia del centro storico. Lombardo, diventato quasi astemio per ragioni gastriche, riscopre la frizzante piacevolezza del prosecco; Miccichè va a scegliersi una bottiglia dalla cantina: un Barolo d’annata.

A tavola si chiacchiera prima dell’incontro con Musumeci. Che al leader forzista avrebbe rinfacciato il pranzo: «A che titolo incontri Stancanelli?». Risposta: «Io incontro chi voglio». Anche Salvo Pogliese, coordinatore di FdI per la Sicilia orientale, non l’avrebbe presa benissimo, come sussurrano alcuni suoi amici. Ma non ne fa cenno, nel caffè con Miccichè a Palazzo degli Elefanti nel pomeriggio. Gli ex acerrimi nemici (all’epoca in cui il sindaco di Catania era in Forza Italia) in un «incontro cordiale» si confrontano su come «velocizzare l’approvazione dell’esercizio provvisorio e della finanziaria» all’Ars, come riporta l’AdnKronos. Ma gran parte della mezz’oretta di faccia a faccia sarebbe stata invece dedicata a un tema specifico, sollecitato da Miccichè: «Ma davvero la Meloni si vuole caricare un candidato perdente come Musumeci?». Da Pogliese risposte evasive, quasi omertose. Il presidente dell’Ars incontra in serata «un gruppo di amici di Nicola D’Agostino», il renziano di Sicilia Futura pronto a candidarsi con Forza Italia. Il collega azzurro dell'Ars, Alfio Papale, informato da alcune spie, non gradisce l'happening

Ma torniamo a sbirciare il pranzo. Che avrà pure avuto un esito finale. Sentiti uno per uno, i tre rivelano ai loro adepti la medesima versione: «Con questo incontro s’è chiusa l’era Musumeci. Adesso aspettiamo il dopo Quirinale per notificarlo a lui e per lanciare il nuovo candidato del centrodestra».

Ma è su quest’ultimo  aspetto che, incrociando varie fonti, i “No-Nello” s’incartano. Già: chi è l’alternativa al governatore uscente? Stancanelli si tira fuori: magari gli piacerebbe, ma a lui in fondo basta che non sia Musumeci; l’eurodeputato meloniano si assume però un compito delicatissimo: «Con Cateno De Luca ci parlo io», anche se già oggi il presidente dell'Ars sarà in avanscoperta al porto di Messina. Lombardo ha in testa il pm Massimo Russo, ma si guarda bene dal bruciare il nome in questo consesso; in compenso promette che non farà scherzetti se nel centrosinistra ci dovesse essere Caterina Chinnici in campo. E allora chi? «Dev’essere uno di noi», assicura Miccichè in mattinata ai big forzisti. E chi se non lui stesso medesimo? L’idea la catapulta sul tavolo, prima delle paste di mandorle finali. E, pur senza un brindisi, sembra essere digerita dagli altri due. C’è pure una vaga variegatura familiare. «Mio fratello Gaetano potrebbe esserci, ma dobbiamo aspettare qualche mese che vada in pensione», scandisce il leader azzurro. Lanciando, di fatto, quella che secondo lui è la migliore candidatura: se stesso. Mentre frena sul nome ipotizzato, dopo colloqui col diretto interessato, dagli altri: Nino Minardo. «Per me è come un figlio, gli voglio bene. Ma è troppo giovane, e poi non lo conosce nessuno». Nel pomeriggio la notizia, edulcorata, verrà comunicata al segretario regionale della Lega, non a caso volutamente convitato di pietra. Reazione gelida. Con non detto enorme: «La scelta del candidato spetterà alla Lega su un tavolo nazionale». Sottinteso: e non certo in un pranzetto etneo a tre.

Ed ecco servito l’impasse finale. Tutti d’accordo sulla rottamazione di Musumeci, ma sull'accordo per il "dopo di lui" – che non era certo atteso ieri, ma ci si aspettava almeno un'idea condivisa – i no-Nello sono in alto mare. E non certo perché la parmigiana col pesce non ci sta.

Poteva davvero essere il blue monday di Palazzo d'Orléans. Ma in fondo non lo è stato. Per il governatore, che al Pizzo Magico ostenta di avere «la situazione in mano», è la migliore polizza sulla vita. A breve scadenza: metà febbraio. Poi si vedrà. Forse.

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