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Insufficienza cardiaca, in Lombardia think-thank per modello gestione

Di Redazione |

Milano, 30 nov. (Adnkronos Salute) – Una patologia cronica e invalidante che nel 2020 ha fatto registrare 26.735 ricoveri con un tasso del 13,7% di re-ospedalizzazione e del 9,2% di mortalità a 30 giorni. Questo il peso dell’insufficienza cardiaca in Lombardia, dove il costo medio annuo di una persona che ne soffre è di circa 11.100 euro di cui l’80% legato ai ricoveri. Prima causa di ospedalizzazione fra gli over 65 e prima causa di morte tra le patologie cardiovascolari in Italia, l’insufficienza cardiaca è al centro di Orione.Ita, Osservatorio per la gestione delle cronicità promosso da Novartis: una serie di think-tank – spiega una nota – che hanno coinvolto esperti e manager sanitari per analizzare lo scenario, le criticità e i gap da colmare, e definire le buone pratiche cliniche necessarie a un nuovo modello di presa in carico del paziente in Lombardia. Il dialogo ha coinvolto diversi poli d’eccellenza a livello nazionale, con l’intenzione di avviare un progetto pilota nell’area di Milano.

Benché colpisca un ultra 65enne su 5, l’insufficienza cardiaca risulta ancora fortemente sottodiagnosticata: meno del 10% dei pazienti è in grado di riconoscere 3 dei 4 sintomi più comuni (dispnea, gonfiore delle caviglie, rapido aumento del peso e affaticamento nell’attività fisica) e uno su 4 (25%) lascia passare una o più settimane dalla comparsa dei sintomi prima di chiedere una consulenza medica, o non la chiede affatto.

“Dovremmo modificare profondamente il nostro approccio all’insufficienza cardiaca, a partire dal linguaggio che utilizziamo per parlarne – afferma Maria Frigerio, direttore Cardiologia 2, Insufficienza cardiaca e Trapianto, Asst Grande ospedale metropolitano Niguarda Milano – Nel resto del mondo si parla di insufficienza cardiaca in riferimento alla condizione cronica, e di scompenso, o meglio di insufficienza cardiaca scompensata, per indicare le fasi di aggravamento o di acuzie che spesso portano al ricovero. Questo a rimarcare che lo stato di scompenso non rappresenta la normalità in questi pazienti, che pure continuano ad avere un cuore disfunzionante e quindi insufficiente, ma una condizione di squilibrio e di aumento del rischio che deve essere prontamente contrastata. Un secondo aspetto importante è l’approfondimento della diagnosi, quindi della causa della disfunzione cardiaca, che troppo spesso è trascurata. Per questo tutti i pazienti, di qualunque età, meritano almeno all’inizio, almeno una volta nella vita, una valutazione specialistica cardiologica approfondita”, raccomanda la specialista.

“L’80% dei pazienti con scompenso cardiaco che transitano in pronto soccorso vengono ad oggi ricoverati – sottolinea sempre da Niguarda Fabrizio Oliva, direttore Cardiologia 1-Emodinamica, Unità Cure intensive cardiologiche – Un dato allarmante per quei pazienti anziani e poli-patologici che non traggono benefici dal ricovero. Si rende necessario identificare precocemente i pazienti a basso rischio e affidarli agli ambulatori dedicati sul territorio, riducendo gli accessi ai pronto soccorso e molti ricoveri che potrebbero essere evitati. Per questi pazienti sarebbero inoltre auspicabili appuntamenti di controllo a breve termine e più frequenti, programmati direttamente dal medico di famiglia in collaborazione con il cardiologo di riferimento”.

La nuova primary care – ammoniscono gli esperti – non può prescindere da un team multidisciplinare, da percorsi personalizzati e da strumenti di monitoraggio in remoto e telemedicina, che permettano al medico di famiglia e allo specialista di condividere in tempo reale i dati inerenti alla storia clinica del paziente.

Secondo Marco Bosio, direttore generale di Niguarda, gli strumenti per dare avvio a un nuovo percorso strutturato ed evoluto per la gestione dei pazienti ‘scompensati’ non mancano. Già l’esperienza maturata prima di Covid-19, e poi durante la pandemia sui pazienti positivi a domicilio, conferma l’efficacia di un modello che si basa su percorsi dedicati e che indirizza i pazienti in strutture dedicate e decentrate, utilizzando anche la telemedicina (televisita e telemonitoraggio).

La definizione di un nuovo percorso di cura dovrà tenere conto anche delle condizioni sociosanitarie del paziente, rimarcano Cittadinazattiva e Aisc (Associazione italiana scompensati cardiaci). Fondamentali in quest’ambito i medici di famiglia, che in Italia gestiscono in media 250 pazienti ultrasettantenni i quali, prima di Covid, erano ‘frequent attenders’ dei loro studi. Sono i medici di medicina generale, infatti, a conoscere eventuali comorbidità dei pazienti con insufficienza cardiaca come diabete, Bpco o cardiopatie ischemiche importanti, e a sapere se vivono soli, magari in condizioni abitative precarie.

Nel nuovo modello di gestione dell’insufficienza cardiaca, quindi, sarà il medico di famiglia il punto di riferimento principale di questi pazienti, semplificando anche le procedure di prenotazione di visite mediche e controlli di follow-up, in modo che non si sentano persi specialmente dopo un ricovero in ospedale. Il tutto anche attraverso il confronto con gli specialisti di riferimento – dal cardiologo all’internista, al diabetologo e al geriatra – per pianificare controlli e interventi extra che esulino dal percorso stabilito a priori.

“Sappiamo come le conseguenze della pandemia abbiano prodotto effetti deleteri sulla continuità di cura nei pazienti cronici – osserva Nicola Montano, direttore di Medicina generale – Immunologia e Allergologia del Policlinico di Milano – Definire precise tempistiche per i controlli di follow-up, a partire dal primo appuntamento già fissato al momento della dimissione fino a controlli più a lungo termine, è oggi quanto mai fondamentale. Ecco perché la presa in carico del paziente con insufficienza cardiaca è un lavoro di squadra in cui la regia dev’essere affidata al medico di base, confidando anche nell’adozione di un modello di pianificazione efficace quale il Piano assistenziale individualizzato. Il ruolo del medico di medicina generale sarà sempre più centrale: dal monitoraggio dei dati del paziente al ‘trade union’ con gli specialisti, in un’ottica di collaborazione e confronto, anche grazie al ricorso alla telemedicina con l’ausilio di altre figure professionali come l’infermiere specializzato nello scompenso cardiaco o l’infermiere di famiglia”.

“Il progetto Orione.Ita è frutto di un approccio aperto e collaborativo tra tutti gli attori del sistema salute – dichiara Gaia Panina, Chief Scientific Officer di Novartis Farma – Una gestione efficiente e sostenibile delle patologie croniche non può infatti più prescindere dalla condivisione di buone pratiche e competenze. Un percorso condiviso che, auspichiamo, possa tradursi presto in vantaggi concreti per la salute dei pazienti con insufficienza cardiaca in Lombardia, e che possa diventare modello da applicare in futuro ad altre patologie croniche”.

Il decalogo delle buone pratiche cliniche che emergerà dal confronto sarà dunque la base dello sviluppo di un progetto pilota. L’iniziativa favorirà l’integrazione ospedale-territorio e prevederà un percorso personalizzato di presa in carico del paziente. Gli elementi chiave saranno proprio “una chiara identificazione e stratificazione del rischio, la definizione dei riferimenti di invio allo specialista o al territorio, una nuova modalità di follow-up e l’introduzione del monitoraggio da remoto”.

Orione.Ita si propone come “un esempio virtuoso di collaborazione multidisciplinare e di partnership pubblico-privato – si legge nella nota – e dimostra il valore di una collaborazione fattiva lungo tutto il percorso terapeutico, dalla codifica dei bisogni allo sviluppo di soluzioni, per rispondere sempre meglio ai bisogni delle persone con patologie croniche”.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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