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Pensioni, Brambilla: “Sì a Quota 102, applica le scelte dei lavoratori”

Di Redazione |

Roma, 21 ott. (Labitalia) – “Sì a Quota 102, perché ci restituisce la fotografia del consuntivo di Quota 100, che ci dice che l’età media di pensionamento è stata di 64 anni e qualche mese: noi facendo Quota 102 non facciamo altro che soddisfare la richiesta che viene dai lavoratori”. Lo dice, ad Adnkronos/Labitalia, Alberto Brambilla, economista e presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali. “Dopo tre anni di Quota 100 -spiega Brambilla, che è stato sottosegretario al Welfare, proprio con delega alla Previdenza Sociale, dal 2001 al 2006 (2° e 3° Governo Berlusconi)- abbiamo un consuntivo, che sono poi le scelte dei lavoratori stessi. Quota 100 in quanto tale, quindi pensionamento a 62 anni con 38 di contributi, ha avuto mediamente nei tre anni di esercizio (2019, 2020, 2021) meno di 12.000 richieste per ogni anno. Quindi, quelli che sono andati in pensione con 62 anni di età, sono nel triennio praticamente pochi, circa 36-37 mila persone. La media dell’anticipo, in generale è stata di 2-2,5 anni e quindi, sempre in media, i lavoratori hanno lasciato il lavoro dopo i 64 anni: questo da un lato dà ragione a Quota 102, rappresentando il consuntivo di oltre 300.000 richieste, e dall’altro ci dice che i lavoratori hanno optato per una flessibilità meno ‘spinta’, anche da un punto di vista degli effetti sull’assegno”. Infatti, spiega ancora il professore, “il calcolo dell’assegno con il metodo contributivo toglie il 3-3,2% per ogni anno di anticipo”. Dunque, “se io anticipo di 5 anni la pensione, ho una perdita di circa il 16%, che calcolato sulla quota contributiva della pensione (che è il 60%) dà un taglio permanente del 10%”. Taglio che però “è improprio definire ‘penalizzazione’: è una pensione più bassa perché si prende prima” ribadisce Brambilla. In pensione dopo i 64 anni “I lavoratori italiani sono andati in pensione dopo i 64 anni perché il taglio, rispetto ai 67 anni previsti, a quell’epoca era un po’ meno dell’8%, che applicato al 65% di quota contributiva, sono circa 5% punti percentuali totali, che a questo punto possono anche essere sostenuti”. “Se guardo invece Opzione donna, il taglio per andare in pensione a 58 anni è il 33% a titolo definitivo della pensione, e a 62 anni è più del 10% e, poiché abbiamo già i pensionati che non prendono grosse cifre, va da sé che bisogna lavorare un po’ di più per avere una pensione più alta”, osserva l’esperto. “Il Governo ha fatto questo ragionamento: ‘Finisce Quota 100 e la sostituiamo con un po’ di flessibilità’. Ma siccome non possiamo fare la flessibilità in uscita a partire dai 62 anni perchè è troppo, facciamo da 64 anni. E mi pare la soluzione più equa, perché 64 anni di età con 38 di contributivi, potrebbe essere la soluzione definitiva al problema della flessibilità in uscita, lasciando fissi e non più adeguati 42 anni e 10 mesi” dice, ad Adnkronos/Labitalia, Alberto Brambilla. Pagate care criticità riforma Fornero “Abbiamo pagato caro le criticità della Riforma Fornero -ricorda-: da quando è partita, cioè l’1 gennaio 2012, abbiamo mandato in pensione quasi 900 mila lavoratori, un numero enorme, perchè ci sono state le 9 salvaguardie e altri interventi sociali. E’ evidente che la Riforma Fornero non ha funzionato, è stata una tigre di carta”. “Noi siamo quelli che abbiamo l’età di pensionamento legale più alta d’Europa, ma abbiamo l’età effettiva di pensione a 62 anni contro una media di 65 anni”.Tornando a Quota 102, dice Brambilla “Avremmo così tre ‘date’ fisse, 67, 64 e 42”. “Mi pare la soluzione più equitativa”, conclude. Giovani trattati male “Troppo rigida” e “giovani trattati male: ecco perché è necessario intervenire sulla Riforma Fornero” e “mi fa specie che una parte cospicua della sinistra e del sindacato non si sia resa conto che la gran parte degli operai e degli impiegati non andranno in pensione se non a 71-72 anni: fare polemiche un po’vuote come stanno facendo adesso su Quota 102 non va bene: forse è meglio che facciano le stesse regole anche per i giovani, così anche loro avranno un’integrazione al minimo” dice Alberto Brambilla, spiegando che “la Riforma Fornero, nel suo impianto originale, ha almeno tre problemi di fondo: il primo è che non c’è flessibilità in uscita (già oggi avremmo un limite per la pensione anticipata di 43 anni e 3 mesi per i maschi e un anno in meno per le donne)”. Un limite che già esclude le donne: “E’ evidente che se prendiamo 100 donne, ad aver accumulato 42 anni e tre mesi di contributi saranno in 3-4”. “Raggiungere questo livello di anzianità, che peraltro è adeguato all’aspettativa di vita e quindi ci dobbiamo aspettare che tra 4-5 anni arrivi a quota 44 di anzianità contributiva, vuol dire non avere flessibilità in uscita”, rimarca Brambilla. “Un altro limite grosso sono i 67 anni: quindi 67 anni e 43 anni è tanto e il difetto numero 1 della Riforma Fornero è che ha bloccato la flessibilità in uscita, è troppo rigida”, dice ancora Brambilla aggiungendo che “il secondo punto critico è che non c’è nessun Paese che abbia adeguato all’aspettativa di vita, l’anzianità contributiva. E abbiamo anche un paradosso della legge Fornero: consente di andare in pensione a 67 anni di età con 20 di contributi (dei quali magari 5-6 figurativi, quindi con un dato vero di 14 anni) avendo anche eventualmente l’integrazione al minimo, mentre non consente ad un soggetto che ha 40 anni di lavoro e quindi il doppio di contributi di andare in pensione”. Togliere l’adeguamento all’aspettativa di vita dai 42 anni e 10 mes “E’ evidente che occorre togliere l’adeguamento all’aspettativa di vita dai 42 anni e 10 mesi”, ma “questo con la norma in corso non si può fare perché il decreto 4/2009, quello su Quota 100, ha bloccato l’adeguamento all’aspettativa di vita fino al 2026”, dice il professore che conclude: “Il terzo punto è che i giovani sono trattati male: potranno sì andare in pensione, ma dovranno avere 2,8 volte l’importo dell’assegno sociale come entità della prestazione e lo avranno poche persone, purtroppo”. “Nella proposta del Governo inserita in Manovra sulle pensioni, c’è un ‘errorino’ tecnico, laddove si dice che nel 2023 si farà Quota 104. Non va bene, perché se noi dovessimo fare nel 2022 Quota 102 e nel 2023 Quota 104, di fatto è come se rifacessimo la Fornero e per 5 anni non va più in pensione nessuno. Io devo dare almeno 18 mesi per poter consentire a quelli bloccati da Quota 100 a Quota 102 di poter andare in pensione. Se vogliamo aumentare qualcosa in più (ma per me è inutile), dobbiamo farlo dopo 18 mesi, non dopo un anno”, annota infine Alberto Brambilla. “E’ proprio un errore tecnico, si potrebbe forse eventualmente fare Quota 103 ma no certamente Quota 104. Così come non è opportuno spostare più in là Quota 104 si annulla l’effetto. Va bene Quota 102 con 38 anni di contributi: 4 anni di anticipo per l’età e 4 anni di anticipo per i contributi, è in equilibrio”, precisa. (di Mariangela Pani)

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