GLI ARRESTI
Mafia, il blitz di Bagheria e il boss sanguinario: «Lo scanniamo come un vitello e lo maciniamo»
Dalle intercettazioni dell'operazione Persefone emerge l'indole violenta del nuovo reggente del clan
«Questo si prende, si va a prendere a casa… e lo scannano come un vitello! Lo puoi macinare". L’ordine per il pestaggio era arrivato direttamente da Massimiliano Ficano, uno degli otto fermati del blitz antimafia "Persefone" dei carabinieri del Comando provinciale di Palermo, ritenuto dagli investigatori il nuovo capo della famiglia mafiosa di Bagheria. Bisognava dare una lezione a Fabio Tripoli, anche lui finito in manette oggi con l’accusa di maltrattamenti in famiglia, punirlo non solo per le sue intemperanze ma, soprattutto, per aver messo in discussione la leadership della famiglia mafiosa.
Dopo aver espiato una condanna definitiva per associazione mafiosa e approfittando del vuoto di potere a causa dei continui arresti, Massimiliano Ficano, che in passato ha gestito una parte della lunga latitanza bagherese di Bernardo Provenzano, aveva ripreso in mano le redini della famiglia mafiosa di Bagheria. Una posizione di vertice riconquistata – secondo quanto emerso dalle indagini, imponendo le decisioni del clan anche con metodi violenti.
L’indagine, seguita da un pool di magistrati coordinati dal procuratore aggiunto, Salvatore De Luca, ha accertato la "perdurante operatività" del gruppo mafioso di Bagheria già colpito negli ultimi 15 anni dalle operazioni Perseo (2008), Crash (2009), Argo (2013), Reset 1 e 2 (2014), Panta rei (2015), Cupola 2.0 (2018/2019).
E' stato possibile ricostruire il "cambio al vertice" tra Onofrio Catalano, detto Gino, e lo stesso Ficano. Il ruolo di comando del primo, con il placet dell’allora capo mandamento Francesco Colletti, arrestato nel blitz Cupola 2.0 e oggi collaboratore di giustizia, era stato messo in discussione da Ficano, che, forte del legame con il capomafia ergastolano Onofrio Monreale, aveva ridimensionato il ruolo di Catalano, relegandolo in una posizione subordinata con compiti esclusivamente connessi alla gestione del traffico di stupefacenti, ma sempre sotto la supervisione del nuovo capo famiglia. Ficano poteva contare su una nutrita schiera di uomini fidati, tra i quali gli indagati "Gino" Catalano, ex reggente, Bartolomeo Scaduto, Giuseppe Cannata, Salvatore D’Acquisto, Giuseppe Sanzone e Carmelo Fricano, dediti al "pervasivo controllo criminale" del territorio.
Non sapendo di essere intercettati dagli investigatori dell’Arma i boss si lamentavano del comportamento di Tripoli. Un uomo violento che non aveva esitato a picchiare il padre "a colpi di catena" e la compagna. "L'ha spogliata tutta, in mezzo alla strada…", raccontava Giuseppe Cannata, uno dei fermati, al capomafia, aggiungendo: "Sono arrivato io. Gli ho detto 'oh, pezzo di scafazzato che sei! Ma dignità ne hai? Ora prenditi le cose e vattenè". Un ammonimento che era servito ad allontanarlo solo per un pò di tempo. Poco dopo, infatti, Cannata era stato raggiunto da una telefonata. "Dice 'c'è quello qua… e gli sta scassando qua tuttò". A quel punto il boss aveva chiamato il cugino. "'Devi andare da quel cornutazzo e me lo devi ammazzare a bastonatè gli ho detto". Un tentativo di pestaggio non andato a buon fine perché Tripoli si sarebbe allontanato.
"E' una spazzatura di persona, proprio è un’immondizia di persona", diceva Cannata e Ficano annuiva: "Ora lui si deve levare il vizio di camminare". La spedizione punitiva avvenne il 19 agosto scorso. Tutto fu programmato nei minimi particolari. "Si deve storpiare questo e basta", diceva il capomafia. Bisognava portarlo in campagna. "E se non viene ci andiamo a casa", diceva uno degli indagati. L’appuntamento era dopo pranzo. "Quando si deve fare sto coso?". "Dopo mangiato, mangiamo… non dobbiamo mangiare per lui?", ragionavani. "Non se ne può più di questo. Mi nomina anche a me, io non l’ho capito, nemmeno so come è fatto. Gli rompiamo le gambe e lo andiamo a buttare…", diceva Ficano mentre il suo interlocutore rispondeva: "No, prima gli devo rompere la faccia… prima gli devo dare cinquanta pugni in faccia che gli devo fare venire le crisi".
Tripoli fu pestato davanti casa. Con un tirapugni. Il piano iniziale di picchiarlo in campagna era andato in fumo. La vittima aveva sospettato qualcosa e aveva declinato l’invito a una scampagnata. Un rifiuto che non era servito a evitare il pestaggio. "Quello gli ha aperto tutta la testa" raccontava Giuseppe Cannata al capomafia, spiegando di aver detto alla vittima di rientrare a casa e di ringraziare il Signore che gli era finita bene. "L'ho guardato e gli ho detto: 'Stai zitto che ti è finita bene, infilati dentro!'". Un avvertimento a cui sarebbe seguito un ulteriore pestaggio se Tripoli non avesse capito il messaggio. "Ora appena lui non lo vuole capire gli ho detto, gli ho detto questo… appena non lo vuole capire lo lasciamo nella sedia a rotelle…". Ficano tagliava corto: "Perché ora così deve andare, le bontà non pagano, chi sbaglia paga!".
E Tripoli pareva proprio non aver capito la lezione. Si armò di un’ascia, andando in giro e dicendo di essere pronto a vendicarsi e a dare fuoco a un locale inaugurato da poco dallo stesso Ficano. Un affronto a cui il capomafia era pronto a rispondere. Bisognava agire in un luogo isolato lontano da occhi indiscreti, per poi abbandonare la vittima sul posto o all’interno di un cassonetto di rifiuti. Serviva la massima riservatezza. "Però non lo dobbiamo fare sapere a nessuno. Che ci fanno prendere l’ergastolo, hai capito?", raccomandava il boss al suo interlocutore, aggiungendo che nel caso in cui dovesse succedere qualcosa a "qualcuno di noi (l'arresto, ndr) chi resta fuori e non lo… esce e gli ammazza la famiglia". Stanotte il blitz dei carabinieri del Comando provinciale di Palermo che ha sventato l'omicidio. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA