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Blue Whale, la sentenza del giudice di Palermo su una “curatrice” che perseguitava una 12enne di Palermo

Di Redazione |

La Blue Whale Challenge, ossia la sfida online in cui gli adolescenti devono affrontare 50 prove  estreme ordinate da "curatorI", «non pare avere i connotati di una stabile associazione di persone realmente esistente, ma  sembra piuttosto atteggiarsi quale fenomeno sociale spontaneo sviluppatosi per emulazione».

Lo ha scritto il giudice di Milano Angela Martone nelle motivazioni della sentenza con cui ha  condannato a 1 anno e mezzo di carcere, con l’aggravante  dell’essersi avvalsa «della forza intimidatrice derivante da  associazioni segrete», una giovane accusata di aver costretto, via social, una 12enne a gesti autolesionistici.

Il magistrato, nel motivare la sentenza con cui il mese scorso ha ritenuto comunque responsabile la giovane di atti persecutori e violenza privata aggravati per essersi spacciata come "curatore" del gioco e aver costretto la sua vittima, una 12enne di Palermo, a infliggersi alcuni tagli sul corpo e ad inviarle le foto come primo step di «50 prove di coraggio», si è anche soffermato sui «tratti essenziali del fenomeno "Blue Whale" inteso nella sue generalità». E «limitatamente a quanto emerso nell’istruttoria dibattimentale» ha sottolineato che «sembra» non vi sia «un coordinamento a monte da parte di soggetti determinati. In altre parole (…) non vi è alcun elemento che faccia supporre una forma di coordinamento tra soggetti "curatori"» anche se, nel caso di specie, è stato fatto intendere il contrario.  Dopo questa premessa il giudice della nona sezione penale del Tribunale, ha osservato che la minorenne «non si è determinata in modo autonomo nelle proprie scelte, essendo stata vittima di indebite pressioni da parte dell’imputata». La quale «facendo evidentemente leva sulla suggestionabilità e fragilità della minore, aveva più volte ventilato eventuali punizioni laddove la giocatrice non avesse completato in tempo, o meglio nel tempo che il curatore giudicava adeguato, le prove che le venivano sottoposte».

Nelle 33 pagine il magistrato ha evidenziato come la 25enne che si era spacciato come curatore avesse usato «frasi minacciose» reiterate e come avesse causato alla ragazzina «un perdurante e grave stato d’ansia e di paura» per la propria incolumità. 

Infine il magistrato, nel contestare le aggravanti, ha ritenuto sussistente quella per cui l’imputata si sarebbe «avvalsa della forza intimidatrice derivante da associazioni segrete» in quanto avrebbe «prospettato di appartenere a un gruppo organizzato di soggetti non meglio identificati, facendo leva sul carattere misterioso dell’organizzazione». E questo «a prescindere, come si è detto, della circostanza che esistesse o meno nella realtà un gruppo coordinato di curatori delle sfide». 

La giovane, difesa dall’avvocato Isabella Cacciari, che avrebbe agito con la complicità di un minorenne, è stata condannata a un anno e 6 mesi con «non menzione» e con le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti.  

Il magistrato, nel motivare la sentenza con cui il mese scorso ha ritenuto comunque responsabile la giovane di atti persecutori e violenza privata aggravati per essersi spacciata come 'curatorè del gioco e aver costretto la sua vittima, una 12enne di Palermo, a infliggersi alcuni tagli sul corpo e ad inviarle le foto come primo step di "50 prove di coraggio», si è anche soffermato sui «tratti essenziali del fenomeno 'Blue Whalè inteso nella sue generalità». E «limitatamente a quanto emerso nell’istruttoria dibattimentale» ha sottolineato che «sembra» non vi sia «un coordinamento a monte da parte di soggetti determinati. In altre parole (…) non vi è alcun elemento che faccia supporre una forma di coordinamento tra soggetti 'curatorì» anche se, nel caso di specie, è stato fatto intendere il contrario.   Dopo questa premessa il giudice della nona sezione penale del Tribunale, ha osservato che la minorenne «non si è determinata in modo autonomo nelle proprie scelte, essendo stata vittima di indebite pressioni da parte dell’imputata» La quale «facendo evidentemente leva sulla suggestionabilità e fragilità della minore, aveva più volte ventilato eventuali punizioni laddove la giocatrice non avesse completato in tempo, o meglio nel tempo che il curatore giudicava adeguato, le prove che le venivano sottoposte». Nelle 33 pagine il magistrato ha evidenziato come la 25enne che si era spacciato come curatore avesse usato «frasi minacciose» reiterate e come avesse causato alla ragazzina «un perdurante e grave stato d’ansia e di paura» per la propria incolumità.   Infine il magistrato, nel contestare le aggravanti, ha ritenuto sussistente quella per cui l’imputata si sarebbe "avvalsa della forza intimidatrice derivante da associazioni segrete» in quanto avrebbe «prospettato di appartenere a un gruppo organizzato di soggetti non meglio identificati, facendo leva sul carattere misterioso dell’organizzazione». E questo «a prescindere, come si è detto, della circostanza che esistesse o meno nella realtà un gruppo coordinato di curatori delle sfide».   La giovane, difesa dall’avvocato Isabella Cacciari, che avrebbe agito con la complicità di un minorenne, è stata condannata a un anno e 6 mesi con «non menzione» e con le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti. (ANSA). COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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