Storia
Un museo per salvare le cave di pomice di Lipari
La campagna per salvaguardare i «tesori di pietra» della più grande delle isole Eolie
Per secoli le cave di pietra pomice di Lipari hanno raccontato una storia di tradizioni, bellezze, fatica e vocazione industriale della maggiore delle isole Eolie. Ora è tutto finito. Le cave sono chiuse da anni dopo il fallimento della società che le gestiva mentre i capannoni, gli impianti e i magazzini di stoccaggio sopravvivono in uno stato di abbandono. Che futuro si può pensare per quelli che la letteratura – da Alexandre Dumas a Curzio Malaparte – ha descritto come i «tesori di pietra»? Dopo anni di silenzio si comincia a discutere su una strada di salvezza e di richiamo turistico: fare delle cave e dei resti di un’industria scomparsa un museo minerario diffuso.
A dare a questa idea un respiro culturale è il Centro studi eoliano sostenuto da associazioni e istituzioni che hanno lanciato una campagna di proposte, non solo di denunce, sulla scia di un servizio del Corriere della Sera. Tutto parte dal bisogno di salvare almeno la memoria della pomice che con l'ossidiana è stata una grande ricchezza per Lipari. Quella pietra bianca leggerissima prodotta dall’attività vulcanica è servita per l’edilizia e come polvere sottile è stata impiegata anche nell’industria cosmetica. Nel tempo la pomice ha dato vita così a un commercio molto sviluppato se è vero che già nel Settecento Lipari era conosciuta come «l'immenso magazzino che fornisce la pomice a tutta l’Europa». La pietra bianca è servita anche a costruire la cupola del Pantheon.
Di questa tradizione come delle tipicità naturali dell’arcipelago siciliano l’Unesco ha certamente tenuto conto quando nel 2000 ha proclamato le isole Eolie patrimonio dell’umanità. Ha riconosciuto, oltre alla bellezza del sito, i «peculiari aspetti vulcanici delle isole».
La storia dice che la pomice è stata certo una grande ricchezza ma ricorda anche che la sua dimensione industriale ha sopportato costi umani per le scarse tutele sanitarie dei cavatori e per il sistema di sfruttamento che concessionari e commercianti avevano imposto.
Nel progetto di museo di cui si discute ci sarebbe spazio anche per la tecnica e per la custodia delle tradizioni. Tutto servirebbe a dare una mano al turismo, che già nelle Eolie si combina felicemente con l’industria del cappero, la pesca, il vino. Da dove cominciare? Un’ipotesi di intervento dovrebbe salvaguardare prima di tutto «pontili ed edifici con scelte conservative promosse dal ministero della cultura e dalla Regione», dice Antonio Calabrò, presidente di Museimpresa che riunisce oltre cento tra soci e sostenitori istituzionali di imprese grandi, medie e piccole. «Memorie e culture d’impresa – aggiunge – possono essere dinamici asset di crescita economica e sociale».
Nel confronto, che ormai ha fatto diventare la memoria della pomice un caso nazionale, sono intervenuti in tanti. Il presidente emerito della commissione italiana per l’Unesco, Gianni Puglisi, ha ipotizzato la realizzazione a Lipari di un’area museale di archeologia industriale alla stregua di quella già attiva in Svezia, a Falun, sulle «spoglie» di una antica e prestigiosa miniera di rame.
Il presidente del Touring club italiano, Franco Iseppi, ha appoggiato il progetto del museo con lo sguardo rivolto al turismo. E Andrea Cancellato, presidente di Federculture, ha lanciato un appello perché le strutture legate alla pomice vengano considerate non solo come «archeologia industriale» ma testimonianze di «vita vissuta e di modellazione del paesaggio a opera dell’uomo». Anche dalla Regione e dall’assessore regionale ai beni culturali, Alberto Samonà, arrivano segnali positivi per l'istituzione di un Parco geominerario.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA