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Forestali, alla Regione mancano 77 milioni. E Musumeci s’infuria: «Me lo fate apposta»

In tilt la procedura  di riprogrammazione dei fondi Ue, la giunta vota d’urgenza un ddl per reperire le risorse. Ma i tempi si dilatano Il governatore attacca burocrati e centristi  

Di Mario Barresi |

Ha gli occhi, infuocati di rabbia, fuori dalle orbite. «Allora me lo fate apposta», sbotta Nello Musumeci. Quando, suo malgrado, scopre che uno degli impegni a cui tiene di più in assoluto – e cioè la campagna antincendio della Regione, con il corollario della chiamata per migliaia di operai forestali – non può in questo momento essere onorato perché mancano i fondi.

La scena si consuma nell’ultima seduta di giunta regionale, giovedì scorso: il governatore si sfoga dopo aver scoperto «soltanto qualche giorno fa» che sulla campagna antincendio – presentata in pompa magna in conferenza stampa a fine maggio – manca la copertura finanziaria. La brutta notizia gli arriva alla vigilia di un vertice operativo sull’avvio, anticipato al 3 giugno «per potenziare l'attività di contrasto ai roghi, in un periodo in cui l'innalzamento delle temperature e la mano criminale dei piromani rischiano di mettere a rischio il patrimonio verde del nostro territorio». Ma i buoni propositi del governatore si scontrano con la dura realtà: i 77 milioni previsti dalla riprogrammazione di risorse comunitarie, di fatto, non ci sono. Perché l’operazione, sull’asse Palermo-Bruxelles, non s’è conclusa. E il fatto che il “contrattempo” gli venga comunicato proprio dopo aver convocato la riunione fa imbufalire Musumeci: «Ma quando volevate dirmelo? A che gioco state giocando?», urla rivolto a uno degli assessori a lui più legati, Toto Cordaro. Sul banco degli imputati, nella corte marziale di  Palazzo d’Orléans, ci sono soprattutto due dirigenti generali: Giovanni Salerno (Corpo forestale) e Mario Candore (Sviluppo rurale). Per i ritardi, assurti quasi al rango di omissioni nella tesi del governatore, con cui la questione è stata sollevata «quando la campagna antincendio dovrebbe essere già partita».

La giunta, a questo punto, è costretta a votare un ddl per reperire le risorse per la campagna dei forestali da capitoli ordinari, senza cioè dover aspettare l’iter di riprogrammazione dei fondi Ue. Ma la nuova strada, obbligata, non è comunque rapida: ci vorrà un assestamento di bilancio all’Ars. Con annessi tempi tecnici e rischi politici.

Il governo ci mette una pezza. Ma la questione non finisce qui. Il ColonNello, che con qualche assessore s’era già sfogato per il fatto che «certe volte faccio chiamare i dirigenti e loro manco mi danno conto», apre un doppio fronte di guerra aperta. Il primo, per lui un must, è sull’«inerzia di una burocrazia regionale che frena il programma del mio governo». Ma stavolta la sensazione di essere circondato da incapaci s’intreccia alla sindrome di accerchiamento, con i tanti «traditori» più volte evocati in  bruschi faccia a faccia con gli alleati. E il risultato finale è addirittura la messa in dubbio della fedeltà del fedelissimo Cordaro. Assimilato alla schiera dei «centristi che remano contro di me», con evidente riferimento alla ricandidatura del governatore nel 2022.

Su questo punto, nel corso di una seduta di giunta che si protrae fino a notte, si apre anche un dibattito politico. Con il presidente della Regione che attacca a testa bassa il fronte moderato («Ma perché, io non sono pure moderato?», si chiede ad alta voce), dove, anche in combutta con il leader forzista Gianfranco Miccichè, si annidano i disertori del Nello-bis. «Cosa volete fare?», chiede con tono di sfida Musumeci. Che fa cadere il discorso (definito «imbarazzante» da qualcuno che lo ascolta) anche sulla prossima corsa per il sindaco di Palermo, nella quale l’assessore Roberto Lagalla, in imbarazzato silenzio durante la sfuriata presidenziale, è l’uomo di punta del fronte centrista. Il leader che ha riconsegnato la Regione al centrodestra rivendica un ruolo politico anche per il capoluogo: «Volete che non dica la mia anche su Palermo?». Un diritto che ovviamente tutti gli riconoscono, anche se qualcuno, a voce più o meno bassa, gli ricorda che «non puoi passare da spettatore a protagonista in base alla tua convenienza». A vestire i panni dell’avvocato del diavolo post-democristiano è l’assessore Mimmo Turano dell’Udc, una delle quattro punte del grande centro che anche raggruppa parte di Italia Viva (con Nicola D’Agostino in prima linea), il Cantiere Popolare di Saverio Romano e il movimento Idea Sicilia di Lagalla. «Noi siamo persone corrette», puntualizza Turano, ricordando all’interlocutore che «sono stato io a lanciare l’idea del ticket: Musumeci ricandidato alla Regione e Lagalla sindaco di Palermo».

Si chiude la discussione, ma non si rimargina la ferita. E l’ostracismo nei confronti degli inaffidabili centristi porta Musumeci a cambiare schema di gioco con altri alleati. A più d’un paio di assessori non è sfuggito che la giunta di giovedì sia cominciata con quasi un’ora di ritardo per aspettare la conclusione dell’incontro fra il governatore e Antonio Scavone. Un lungo confronto, fra chiarimenti su malintesi amministrativi e argomenti politici. Fra questi ultimi, secondo quanto trapela da Palazzo d’Orléans, ci sarebbe un ritorno di fiamma con l’asse Lega-Mpa. «Lombardo sarebbe contrario alla federazione di DiventeràBellissima con Salvini?», il messaggio recapitato ad interlocutori autonomisti, che per ora non alzano muri sull’idea di un fronte unico di movimenti siciliani. Ma lo scetticismo maggiore resta in casa leghista. «Se già adesso non dialoga con nessuno, Musumeci nel secondo mandato non risponderebbe nemmeno al telefono», l’amara previsione che filtra dai big salviniani. Magari cambieranno idea pure loro, questa settimana, nel vertice di maggioranza convocato «per parlare delle nomine di sottogoverno».

Twitter: @MarioBarresi   

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