Politica
Abramo: «Io non mi candido, la legge anti-povertà è frutto della bella politica»
Emiliano Abramo, andiamo subito al dunque: non è che s’è messo in testa di candidarsi come governatore nel 2022?
«Ho letto l’indiscrezione sui giornali e mi ha fatto piacere solo perché sdogana una dinamica corretta fra società civile e politica. Ma, detto ciò, smentisco: non sarò in lizza, né come presidente né per l’Ars. Punto e basta».
Punto e virgola, se permette. Lei, da promotore del ddl anti-povertà è stato al centro dei riflettori, incassando un apprezzamento trasversale. Da cosa può nascere cosa…
«Il ddl che è nato da un mio appello sul vostro giornale è una bella pagina della politica siciliana, non sempre attenta ai temi sociali concreti. S’è aperto un dibattito, che il presidente Miccichè ha saputo far fruttare al meglio, grazie a una sensibilità trasversale. E ora manca davvero poco: entro l’estate ci sarà la legge contro la povertà».
Una legge che qualcuno, ad esempio il Forum del Terzo settore, vede sin troppo “cucita” addosso alla sua Sant’Egidio e a pochi altri…
«C’è stato un confronto con tutti, compreso il Forum del Terzo settore, che ha mostrato resistenza sull’esclusione, nel testo del ddl, di ogni forma di stipendio o attività di formazione. Ma quando si fa una legge si fa una scelta. Ed è stata quella della soluzione più rapida ed efficace, per dare il cento per cento delle risorse ai poveri. Non soltanto attraverso Sant’Egidio, ma con altri protagonisti come Banco alimentare, Cei, Caritas, comunità valdese, Biagio Conte a Palermo e tante altre realtà».
Il disegno di legge colma un vuoto del governo regionale?
«Il ddl s’incastra con un lavoro importante dell’assessore Scavone, che mette sul piatto 27 milioni per distretti e comuni. Quello di Scavone, però, è uno sforzo solitario all’interno di un governo regionale non adeguato a dare risposte al mondo del sociale».
Al di là del welfare, qual è il giudizio sui quasi quattro anni di Musumeci?
«Negativo. Musumeci sembra slegato dalla realtà, dai territori. È stato schizofrenico sulla vicenda Razza, così come su tutta la gestione della pandemia. Non c’è una visione di Sicilia, il governatore ritira fuori dal cilindro il Ponte mentre il futuro è il Mediterraneo, con la pesca, il turismo, l’accoglienza. Spero che nel 2022 si cambi rotta…».
Magari lo spera anche da dirigente di Demos, che ha lanciato la candidatura vincente di Bartolo alle Europee. Il medico di Lampedusa potrebbe essere il nome giusto per il centrosinistra alle Regionali?
«Pietro rappresenta l’osmosi fra società civile e politica: mi farebbe piacere che fosse in gioco, anche soltanto per dare una mano a uno schieramento di salvezza della Sicilia, un campo quanto più largo possibile che magari prenda il meglio delle sensibilità e delle esperienze alla base del consenso e del lavoro sul disegno di legge contro la povertà».
Uno schieramento “modello Abramo”. Ma non aveva detto di non essere candidato?
«Sì. E lo ripeto. Ma all’Ars è stata data una bella prova. Ho già detto della sensibilità del presidente Miccichè, che sul vostro giornale ha lanciato un sacrosanto allarme sulla tenuta sociale della Sicilia nei prossimi mesi, e sinceramente non so lui che scelte intenda fare. Ma in questo terreno vedo ovviamente, oltre al Pd e ai cinquestelle, anche il grande centro di D’Agostino e degli altri, più esperienze di civismo virtuoso come ÈcoSì, più tutto il mondo dell’associazionismo non soltanto sociale».
Questo è il suo esercito del bene. E il condottiero? Se non Bartolo, chi?
«Mi piace Fava, per il suo lavoro con l’Antimafia e per la sua scelta generosa di metterci la faccia. Ma in questo mondo ci sono tante altre energie positive e tanti altri nomi possibili».
Compreso il suo?
«È la terza volta, non ci casco. E semmai dovessi candidarmi non lo direi a lei, prima informerei mia moglie e Andrea Riccardi (fondatore della Comunità di Sant’Egidio, ndr). Non sono candidato, ma sarò comunque attento e dirò la mia come sempre».
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