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Spari fuori da Casa Bianca: il momento in cui Trump viene portato via

Di Redazione |

NEW YORK – E’ giallo sulla sparatoria fuori alla Casa Bianca che ha costretto il Secret Service ad allontanare Donald Trump dal podio della sala stampa da dove aveva iniziato a parlare solo pochi minuti prima. L’uomo colpito da un agente fuori dal perimetro di Pennsylvania 1600 non era armato come riferito inizialmente, costringendo così il Secret Service ad avviare un’indagine sull’accaduto. Il sospettato 51enne, di cui non è stato diffuso il nome, è stato ferito e trasportato in ospedale. Le indagini preliminari hanno rivelato che l’uomo non era in possesso di nessuna arma, pur avendo dichiarato di essere armato quando ha iniziato a correre in modo forsennato contro l’agente stazionato fuori dalla Casa Bianca. Mentre correva sembrava voler estrarre qualcosa dalla tasca e questo gesto ha spinto l’agente ad aprire il fuoco.

Mentre in strada si consumava lo scontro, Trump aveva da poco preso la parola per il briefing quotidiano della task force sul coronavirus. Dal podio stava criticando il sistema di voto via posta ed elogiando il lavoro della sua amministrazione nella lotta al ‘virus cinesè, quando un agente ha richiamato la sua attenzione e gli ha intimato di lasciare la stanza. Trump si è scusato con i presenti e si è allontanato. Fra i giornalisti presenti in sala stampa è scoppiato il panico: molti agenti armati si sono in pochi minuti addensati nel giardino della Casa Bianca, subito posta in lockdown. La paura è durata pochi minuti, poi la porta della sala stampa si è riaperta e Trump è riapparso. Ostentando sicurezza e dicendosi per nulla preoccupato, ha spiegato che c’era stata una sparatoria fuori dalla Casa Bianca ma che tutto ora era «sotto controllo». Ha quindi riferito di essere stato portato dal Secret Service nello Studio Ovale, ha ringraziato gli agenti per il lavoro che fanno quotidianamente e ha detto di sentirsi completamente al sicuro nelle loro mani. Poi ha aggiunto: «Il mondo è un posto pericoloso e la sparatoria potrebbe non avere nulla a che fare con me».

Dopo le spiegazioni di rito Trump ha ripreso come se nulla fosse la conferenza stampa esattamente dal punto in cui l’aveva interrotta. E’ tornato ad attaccare il «virus cinese» e ad elogiare la risposta americana all’emergenza. Ribadendo che le scuole «devono aprire”: «i bambini non vengono contagiati facilmente», ha affermato. Poi a tutto campo Trump ha ipotizzato il G7 dopo le elezioni del 3 novembre in modo da poter sfruttare un’”atmosfera migliore», non escludendo un invito per il presidente russo Vladimir Putin. La Cina e la Russia «non vogliono la mia” rielezione, ha detto, spingendosi a prevedere che l’Iran potrebbe raggiungere un accordo con gli Stati Uniti in un mese in caso di una sua vittoria. Un accenno anche al suo predecessore: a Barack Obama «non chiederei» le dimissioni se fossero morti sotto i suoi occhi 160.000 americani per il coronavirus. «Non lo farei», ha affermato prima di scivolare in una gaffe sulla storia. La pandemia è paragonabile solo all’influenza spagnola del 1917: “E’ stata terribile, con 50-100 milioni di morti. E’ probabilmente finita con la Seconda Guerra Mondiale», ha detto Trump. “Dimenticando” però che la spagnola è finita nel 1919, la guerra nel 1945. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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