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Il don dei narcos nigeriani: «Noi siamo la black mafia»
PALERMO Per tutti era il «Don». Il capo dell’articolazione in Sicilia della mafia nigeriana, Ede Osagiede detto Babanè, veniva chiamato proprio con l’appellativo dei vecchi padrini di Cosa Nostra, al cui nome veniva sempre anteposto la qualifica di «Don». Se la Sicilia era il regno della famiglia Lighthouse of Sicily governata da Babanè, Caltanissetta era sicuramente la sua reggia, potendo contare su uomini e donne, alle sue ossequiose dipendenze, impiegati nello svolgimento di incombenze di qualsiasi tipo, dall’acquisto di generi alimentari al trasporto di stupefacente). Allo stesso modo Godwin Evbobuin, detto Volte, leader indiscusso a Catania, era dotato – sostengono gli investigatori – di un particolare ecclettismo criminale. Pur avendo una rilevante esperienza nel settore degli stupefacenti era capace di dedicarsi anche ai falsi, alla ricettazione di apparecchi cellulari, ai recuperi di crediti utilizzando il timore ingenerato nei connazionali dalla sua carica cultista, fino alla fornitura di false documentazioni ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per connazionali. Evabobuin ed Ede, sempre secondo gli inquirenti, avrebbero gestito in questi anni una intensa attività di narcotraffico tra la Sicilia e altre regioni italiane.