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Venturino, lo sbiancamento morale del primo grillino pentito
La domanda, nel profondo del suo cuore, sorge sempre spontanea. «E ora che faccio?». Ma alla fine lui – attore giramondo che s’è fatto le ossa sulla scia di Dario Fo, «il mio maestro» – una soluzione la trova. Sempre.
Casca sempre in piedi, Antonio Venturino. Trascinato nel 2012 dall’onda grillina sullo scranno all’Ars, della quale è vicepresidente. Carica che ha mantenuto anche dopo la tumultuosa cacciata dal movimento. «È un pezzo di merda», sussurrò Beppe Grillo del deputato di Piazza Armerina, che si ritiene «espulso come indegno», con lo «sfregio finale di dipingermi come un laido e ingordo che lasciava il Movimento solo per i soldi». Fuggiasco «per non cedere parte dell’indennità parlamentare».
Ma la vendetta è un piatto surgelato, per chi si autodefinisce il «primo pentito grillino» nel sottotitolo del suo Misteri Buffi (per i tipi di Ponte Sisto), autobiografia scritta a quattro mani col brillante giornalista concittadino Concetto Prestifilippo. In effetti, Venturino sfoga anni da vittima di «fascismo digitale» e di «manganellate da social network». Contro il movimento, la cui democrazia della Rete è «una bufala clamorosa», poiché «l’accesso alla piattaforma» subisce una «censura preventiva» e una «ritualità untuosa». Contro i grillini dell’Ars, «non un gruppo parlamentare, ma una ragioneria comunale» in cui «si passava il tempo in sfibranti attività di rendicontazione» (ma i suoi ex colleghi gli rinfacciano con malizia «una vita sregolata da pseudo-artista a cui i 2.500 euro più rimborsi non bastavano»). E contro il leader Giancarlo Cancelleri, un «ragazzo molto modesto nei contenuti». Premesso che «anche Quasimodo era un geometra, ma era un poeta», pur «senza scadere in derive classiste», bolla il Predestinato come «persona assolutamente non adeguata» a diventare presidente della Regione.
Venturino consuma il rito catartico dello sbiancamento morale, un’auto-assoluzione dai peccati del culto pentastellato. Racconta e si racconta in libertà. Svelando, ad esempio, il colloquio a Palazzo Madama con un «nervosissimo» senatore Mario Giarrusso , che «si toglieva ripetutamente gli occhiali e si girava guardingo verso l’ingresso», mentre «continuava a confermarmi della necessità di aprire al Pd». Venturino, come Forrest Gump, vede sfilare la Storia davanti a sé. E, a modo suo, la fa: nell’incontro sull’elezione del presidente del Senato, suggerisce «una personalità di rilievo come Piero Grasso». I grillini lo massacrano: «Non capisci niente». Grasso, inconsapevole del convinto sostegno di Venturino, ce la fa. E Giarrusso, svela l’Autore, dopo avergli comunicato la notizia dell’avvenuta elezione con un sms (ma non era di dominio pubblico…?), «mutò radicalmente posizione», trasformandosi «in una sorta di pasdaran, un guerriero grillino».
Nel racconto si srotola il fil rouge del passavo-di-lì-per-caso. La candidatura all’Ars, accettata solo dopo provvidenziale rinvio «di una serie di week-residency (sic!) in Irlanda», la campagna elettorale con la «maestosa 127 di mia zia Lina», i comizi-fotocopia di Grillo in cui «i candidati sfilavano veloci come majorettes». Il primo incontro fra il comico-leader e il teatrante-aspirante deputato. «Ma come? Sei tu il candidato? Ma sei vecchio!», gli disse uscendo dal caravan in piazza Europa, a Piazza Armerina. Una delusione. Dimenticata, a ottobre 2012, con lo shock da elezione: quasi quattromila voti. E nella sua città, tutti a offrirgli in caffè, a chiedergli posti di lavoro, a consegnargli bollette da pagare. «Sembravo il mago Zurlì allo Zecchino d’Oro», sintetizza con rara efficacia.
Uno su mille ce la fa. Venturino si avvia a grandi falcate verso quello che definisce «il Palazzo del Frattempo». Ma non perde tempo. Ed è già promotore di un vertice clandestino. Lui e Cancelleri incontrano, in una piazzola di sosta della Palermo-Catania, l’allora pretoriano crocettiano Antonio Malafarina, che arriva «vestito come un poliziotto da film». Ed è lì che decolla la trattativa da cui nascerà il mitico “Modello Sicilia. Venturino, «con il coraggio degli incoscienti», fa all’interlocutore col «pizzetto carducciano da sbirro borbonico» la proposta: la vicepresidenza dell’Ars. Per i Cinque Stelle in generale. Eppure, «bizzarria del caso, indicarono proprio me per ricoprire la carica». Detto e fatto. Senza che, dopo, Grillo si degni di esultare con lui per «un autentico successo parlamentare». Venturino è «amareggiato e spiazzato». Ma già sulla poltrona.
«Che ci faccio qui? E ora?». A Palazzo dei Normanni, confessa, «fu un allunaggio». Dubbi esistenziali, ansia da prestazione. Fino alla Luce, presiedendo la seduta sulla Finanziaria: «Sentii sulle mie spalle tutto il peso della responsabilità». Mesi di «assoluto tormento personale», a combattere contro l’«ossessione» dei «gabellieri» a 5stelle.
Venturino ha un pallino, una vocazione collaborazionista: far entrare il movimento nella maggioranza. Idea che svanisce al termine di quella «sorta di duello western in salsa siciliana» fra Rosario Crocetta e Cancelleri. Il governatore, «matto come un cavallo», arriva nella sede del gruppo grillino all’Ars. A notte fonda, «l’eterna sigaretta all’angolo della bocca, la cravatta allentata, una delle sue proverbiali giacche». A farla breve: Crocetta «in dialetto gelese sentenziò che lui doveva pagare cambiali e che preferiva pagarla a noi». Ma Cancelleri, «con altrettanto bizzarro dialetto nisseno», non accetta compromessi, stroncando «questo afflato rivoluzionario» di Crocetta, che un «guadagnò l’uscita indispettito».
Un’enorme delusione, per Venturino. Che non riesce, suo malgrado, a cambiare il corso degli eventi. Se non ci fosse stato l’«infantilismo politico di chiusura» di Cancelleri, oggi, la Sicilia sarebbe un paradiso a 6 stelle: cinque del Movimento e una di Crocetta. Invece l’urlo di dolore dell’Ggm (Grillino geneticamente modificato) è rimasto inascoltato. Peggio per noi, lui li aveva avvertiti: ci resta il governatore della «rivoluzione mancata» nonostante l’«opposizione compiacente» del M5s, che – dettaglia l’ex col dente avvelenato – ha votato a favore dell’80% delle leggi proposte da Crocetta.
Fra gli altri aneddoti quello dell’imprenditore svizzero ricevuto dalla deputata Angela Foti che allatta il pupo in un «colloquio surreale che durò giusto il tempo di una stretta di mano».
E poi il terrore di Giampiero Trizzino “pizzicato” con Venturino sulla famigerata auto blu a Sigonella. L’allora presidente della commissione Ambiente all’Ars, racconta l’ex sodale, «sembrava invasato». Fiumi di sudore, il nodo della cravatta allentato. E il Poveretto che «stravolto – racconta Venturino – mi urlava: “Siamo finiti su Facebook! Lo vuoi capire? Su Facebook!”». Dopo «un silenzio surreale» durante il quale «credo di averlo sentito singhiozzare», i due arrivano a Palermo. Dove li aspetta «una bordata di insulti». I grillini dell’Ars «erano tutti inferociti, tranne Cancelleri». Per Venturino «il suo silenzio suonò come una sentenza di condanna». Il vicepresidente Ars con «l’auto di servizio» (deliziosa definizione coniata con i giornalisti, invano, per annacquare il colore blu e celare il lampeggiante) capisce in quell’attimo che il destino, per lui, è ormai segnato. «Pensai seriamente di rimettere il mandato», rivela oggi. Ma non lo fece. Né allora, né mai.
Venturino è fuori dal movimento. Ma allora, lui che aveva messo in scena “Mistero Buffo” di Fo in dialetto gallo-italico, non demorde. Combatte contro «l’assedio televisivo», come un leone nell’Arena (di Massimo Giletti e Klaus Davi), respinge gli assalti delle Iene, sfida Michele Santoro e Marco Travaglio. Prevale su Barbaradurso, persino, da vero titano da salotto.
E poi nuota, da pesce rosso, nell’acquario degli squali. Dall’incontro con Pippo Gianni e Totò Cardinale, «il gatto e la volpe», che lo corteggiano per fare un gruppo («io fischiettavo la colonna sonora di Pinocchio») alla descrizione metafisica di Beppe Lumia, che «sembrava quasi potesse contare su un ufficio riservato a Palazzo d’Orléans», poiché «a ogni riunione operativa, si apriva una porticina e usciva il senatore» che «interveniva con tono sacerdotale». Indimenticabile, inoltre, il pranzo romano con lo stesso Lumia, Crocetta e Lady Patrizia Monterosso, tutti «suadenti come in una favola antica» per farlo entrare nel Megafono, con l’immane compito di «indebolire il predominio» di Mirello Crisafulli. Offerta reiterata, dal duo Crocetta-Lumia che gli chiedono di prendere la doppia tessera (dem e Megafono) perché «stavano organizzando una sorta di scalata al Pd siciliano». Ma Venturino dice no. A tutti e a tutto. Anche all’«approdo naturale», quel «Pd che non esiste» (e che non è dato sapere semmai lo volesse).
L’ex attore, infine, «da europeista convinto», lascia il gruppo misto. Folgorato dalla «prospettiva socialista». Quand’era grillino voleva «distruggere il vecchio». Ora, da erede spirituale di Pietro Nenni e Bettino Craxi – con quattro anni di stipendio e indennità aggiuntive all’Ars già alle spalle – ha capito che «nell’antico si annida la vera essenza di uno stato autenticamente democratico».
Con Dario Fo, purtroppo, non è riuscito più a parlare. L’ultimo contatto fu nell’ottobre 2012, «la prima telefonata dopo le elezioni, mi fece i complimenti». Il giullare è passato a migliore vita senza ascoltare il suo allievo di Piazza Armerina. «Volevo chiamarlo dopo la mia espulsione – racconta con rimpianto – ma non ho avuto il coraggio». E magari, per scongiurare la «pericolosità che si annidava dietro questa parvenza di democrazia». Il deputato regionale non si dà pace, per la «difesa a oltranza del Movimento di Grillo» da parte di Fo, un «uomo libero» che non ha ascoltato quell’ultimo appello disperato.
Ma Venturino è sempre avanti. Preconizza già «la prossima delegittimazione», ovvero «l’accusa di inseguire una nuova rielezione».Sempre con la medesima domanda, ormai una compagna di vita: «E ora che faccio?».La risposta, fra poco meno di un anno, l’avrà dagli elettori. Il cui responso, talvolta, sarà pure buffo. Giammai misterioso.
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