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Quirinale, la gente vuole un non politico

Quirinale, la gente vuole un non politico

Di Domenico Tempio |

Adesso che Giorgio Napolitano si è dimesso, i giochi si sono ufficialmente aperti. Sembra un gioco di società, ma non lo è. In verità lo fanno apparire tale, i mass media. La domanda ovvia, e allo stesso tempo appassionante, è: chi mettereste al Quirinale? I talk show televisivi cominciano la mattina e finiscono a notte inoltrata. I conduttori sembrano tanti Mike Bongiorno. Qualche partecipante, interessato o meno, esce allo scoperto e snocciola dei nomi; altri li bocciano; altri mantengono i loro preferiti sotto copertura, come fanno i servizi segreti. La posta del Quirinale per alcuni non è un gioco, è troppo alta. C’è chi spera di trarne dei vantaggi. Renzi, perché vuole stare “sereno” a Palazzo Chigi; Berlusconi per tentare di riavere l’”onorabilità” perduta; i rottamati del Pd perché vogliono far fuori il “giovin signore” fiorentino; i “resti” della fu Dc, sempre in prima linea quando c’è una poltrona (e che poltrona!) da occupare; la nouvelle vague leghista, alla Salvini, dopo avere snobbato la “ repubblica romana”, ora vuole contare di più nel Paese, l’odiato Sud compreso; i grillini alla pari degli stregoni continuano a interrogare il grande spirito Manitù, cioè il web, e tirano fuori nomi su nomi, a molti di loro sconosciuti. Ma se la stessa domanda la rivolgi alla gente, sono pochi coloro che vorrebbero un politico di carriera al Colle. L’unico di questi, che a suo tempo, superò la prova fu Pertini, pur con tutti gli strafalcioni istituzionali dovuti al suo temperamento. I De Nicola, gli Einaudi, i Ciampi furono gli uomini venuti da “fuori” e che resero nobile quella poltrona. Gli altri, con tutti i meriti del caso, politici erano e da politici si sono comportati. Se Napolitano è rimasto al Quirinale oltre il suo naturale mandato è perché ha dovuto mettere assieme i cocci dei partiti in via di dissoluzione. Di quei partiti che già Cossiga nel ‘90 cominciò a picconare, tanto da essere scomunicato dalla stessa Dc e rischiare, addirittura, l’impeachment. Dopo queste esperienze, con una classe politica messa ormai nella riserva indiana, è facile intuire perché nei giochi della gente, difficilmente trovino posto candidati nati e cresciuti nei partiti. Anche se alla fine, con probabilità, ci troveremo con uno di loro al Quirinale. Sarà Veltroni, come dicono gli ultimi spifferi di corridoio? Sarà una donna, anche se dopo il forfeit di Emma Bonino (onore a lei per le sue battaglie civili), la candidata di sempre, è difficile trovarne una, tranne che non la si cerchi nel mondo della cultura o dell’imprenditoria? Saranno Fassino, Gentiloni, Mattarella, ultima terna messa in campo dai giornali? O Prodi, già cotto e bruciato due anni fa? E allora chi “gioca” nei salotti, nei bar, nei circoli, tra amici, preferisce candidati fuori dalla mischia. Riccardo Muti? Quello, sì. Servirebbe a dirigere la sgangherata orchestra italiana. Ma, si obietta, potrebbe finire come la famosa “prova” del film di Fellini. Il direttore viene contestato e il concerto finisce prima di cominciare. Uno scrittore, un giornalista? Travaglio, Feltri, Scalfari, Sallusti, Vespa, Santoro o altri? No, troppo di parte. E poi, Scalfari è più vecchio di Napolitano. Meglio, allora, Paolo Mieli. Tra l’altro è uno storico. Gli addebitano il “mielismo” una specie di “cerchiobottismo” giornalistico, ma potrebbe stare bene ai contendenti. Mieli, però, non è un candidato, anzi ieri proprio in tv ha proposto Sergio Mattarella. Quest’ultimo da tempo si è tirato fuori dall’agone politico e potrebbe essere il primo siciliano al Quirinale. C’è, poi, una maggioranza che, speranzosa di uscire da una crisi economica infinita, ha un suo candidato sicuro: Draghi. Chi lo potrebbe candidare, però, lo teme perché sarebbe l’uomo forte capace di oscurare tutti. La scusa è pronta: eleggendolo si farebbe un favore alla Merkel che lo vuole tolto dalle scatole per mettere uno dei suoi alla Bce. Comunque, siamo solo alla prima puntata del talk show. I partiti tratteranno nelle segrete stanze, la gente discuterà nei salotti e dintorni. Del resto agli italiani, sino a quando non saranno direttamente chiamati a scegliere, resterà solo “giocare”. Come al mercante in fiera.

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