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La presidente Laura Boldrini a Catania

La presidente Laura Boldrini a Catania «Il disastro infrastrutture è la priorità»

«E sul caso Nicolosi penso che qualcosa non abbia funzionato» .

Di Mario Barresi |

CATANIA. Torna – come fa spessissimo – nella terra che l’ha eletta e che lei conosce e ama da sempre. Ma trova una Sicilia che cade a pezzi, stenta a crescere. E per l’Isola, così come tutto il Sud, invoca «un intervento innovativo dello Stato», preceduto da un passaggio fondamentale: «Il Mezzogiorno deve tornare al centro dell’agenda del governo», assicurando che da Montecitorio arriverà «la richiesta di un impegno formale». Laura Boldrini è arrivata ieri sera a Catania in vista di una giornata, quella odierna, ricca di impegni. Ci parla di tutto. Dai migranti ai femminicidi, passando dai venti di guerra in Iraq e dalla sinistra italiana che non c’è e che, forse, sarà.

Presidente Boldrini, arriva in una Sicilia col freno a mano. Il divario col nord è ancora pesante e il Mezzogiorno sembra assente dall’agenda di governo.

«La Sicilia, come gran parte del sud, non riesce a ripartire. C’è stato un aumento della disoccupazione più alto che al centro–nord. Ed è vero che se ne parla poco, tant’è che dopo aver visto i primi dati Svimez, anticipati a luglio, abbiamo deciso di fare un approfondimento alla Camera: ospiteremo la presentazione del rapporto, il prossimo 27 ottobre, e subito dopo faremo una seduta speciale sulle politiche del Mezzogiorno. C’è bisogno di approfondire il tema, ma anche di arrivare a degli impegni concreti. Senza un intervento innovativo dello Stato queste disuguaglianze saranno destinate ad aumentare. Ci vuole una presa d’atto, ma anche un impegno formale del governo».

In questa terra non ci si può quasi più permettere il lusso di sperare.

«In tutta franchezza bisogna dire le cose come stanno. Ci sono dei problemi, ma ci sono pure settori che danno risultati. In Sicilia mi viene in mente il settore della vitivinicoltura, una delle tante eccellenze da valorizzare. È chiaro che sono di più le cose su cui intervenire, prima fra tutte la viabilità».

Ecco, ha toccato un tasto dolentissimo. L’Isola cade a pezzi.

«In Sicilia c’è un vero disastro infrastrutturale. È un nodo cruciale, che penalizza l’Isola, l’economia e la qualità della vita dei cittadini. Io, girando in Sicilia in campagna elettorale, mi sono trovata davanti a ponti crollati senza neanche la segnaletica perché erano venuti giù pochi minuti prima. E da allora la situazione è di gran lunga peggiorata. Sono consapevole del disagio enorme che vive quest’isola e credo che sia una delle priorità da affrontare».

Magari prima del Ponte sullo Stretto…

«Assolutamente. Peraltro, come ha sottolineato il ministro Delrio, l’ordine del giorno sul quale il governo ha dato parere favorevole diceva soltanto che sarà valutata l’opportunità di riesaminare l’opera, perché ci sono contenziosi. Prima c’è altro da fare».

Siamo alla vigilia della “relocation”. I primi migranti dai centri italiani alle destinazioni europee. Alfano dice che è una vittoria. È così?

«La cosa più importante è che l’Europa finalmente si è affermata come un soggetto che propone soluzioni. La commissione europea è stata capace di proporre soluzioni coinvolgendo tutti gli Stati membri: questo mi sembra un punto di svolta cruciale, non era mai accaduto prima. E sicuramente l’Italia ha contribuito a questo perché è da anni che noi italiani chiediamo all’Europa di farsi parte attiva della soluzione. C’è voluto molto tempo e tante morti, troppe. Ma adesso sembra che questa idea sia passata. E finalmente, aggiungo io».

Ma i migranti sono un problema o una risorsa per questa nuova Europa?

«Io sono convinta che i rifugiati ci stiano dando un’opportunità, quella di fare un grande salto verso una maggiore integrazione politica europea attraverso il raggiungimento di una comune politica di asilo. Da questa crisi ci siamo resi conto che bisogna rilanciare una nuova Europa, un’Europa 2.0 che riesca a risolvere i problemi che nessuno Stato da solo può gestire. Insomma, di diventare una unione federale di Stati, non un assemblaggio di Stati. Grazie anche alle decisioni della cancelliera Merkel sul tema dei rifugiati abbiamo ritrovato l’orgoglio di essere europei, di credere in valori che ci hanno reso grandi come la solidarietà e il rispetto dei diritti umani che negli ultimi tempi avevamo trascurato, dissociandoci dalle nostre radici».

È una lezione politica per chi, come la Lega, contesta la legge sulla cittadinanza, attaccandola pesantemente su questo tema.

«La cittadinanza, anziché essere considerato uno strumento per una società più coesa, viene usato per fare demagogia. Deve essere nell’interesse di tutti contribuire a una società capace di crescere e svilupparsi. E invece si alimenta la paura di perdere le proprie radici culturali. Al contrario, con una legge sulla cittadinanza che mira ad includere quelle radici diventano più forti perché si estendono anche ad altri».

In Sicilia il tema dell’immigrazione è declinabile in due modi: il grande cuore di chi fa accoglienza e le disfunzioni, talvolta criminogene, in stile Mafia Capitale.

«Io penso che l’Italia debba ringraziare la Sicilia per il supporto che dà e per il senso di responsabilità che ha dimostrato in questi anni. Che ci siano delle distorsioni sull’accoglienza è una realtà, purtroppo. Una realtà che si lega col malaffare. Malaffare che esiste anche in altri luoghi e in molti ambiti della società, ma che nell’accoglienza è ancora più disdicevole perché si lucra sulle spalle delle persone più vulnerabili».

La Sicilia, con la base di Sigonella, oltre a essere frontiera di accoglienza, si appresta a diventare “hub” di guerra. Dobbiamo prepararci all’intervento militare in Iraq? È la scelta giusta?

«Intanto io, per esperienza personale, ho una mia idea sulle guerre. Ho visto che non risolvono quasi mai i problemi. E in ultimo anche la situazione libica ce l’ha dimostrato. Le guerre, caso mai, rischiano di aggravarli, i problemi. E comunque sia, nel caso in questione, per il cambiamento delle regole d’ingaggio del nostro impegno è ovvio che ci sia bisogno di un passaggio in Parlamento. I ministri Gentiloni e Pinotti, in commissione, hanno detto che non saranno prese decisioni se non dopo un passaggio parlamentare».

A proposito di Parlamento. Ormai il degrado e la volgarità sono all’ordine del giorno. Decadenza della qualità di classe dirigente o mancato rispetto delle regole?

«Oggi c’è una gara a chi insulta di più, a chi mette in atto azioni più provocatorie per zittire gli altri così da attirare l’attenzione dei media. Questo denota poca cultura istituzionale e rende difficile l’andamento dei lavori. È deprecabile che non si abbia la capacità di esprimere il proprio parere senza trascendere nell’offesa».

Tanto più quando la volgarità si colora di sessismo…

«Quando in Aula parlano le colleghe deputate a volte c’è chi si esprime in modo irriguardoso, c’è minore attenzione e minore rispetto. Questo denota l’arretratezza e l’inadeguatezza di alcuni esponenti politici, tanto più se giovani. Quando parlo con i miei omologhi europei, mi accorgo che in nessun altro Parlamento accade ciò che accade da noi. Chi contribuisce a questo degrado non è un eroe, ma uno che mortifica la dignità delle istituzioni. E fa male al Paese».

E se in Parlamento le donne si prendono i gestacci, fuori continuano a morire come la ventenne di Nicolosi. Cosa si può fare per evitare questa strage?

«Si deve fare molto di più dal punto di vista culturale, insegnando alle bambine e ai bambini, sin dai banchi di scuola, il rispetto reciproco, la condivisione dei compiti. Hanno responsabilità anche le famiglie, in questo. Poi è chiaro che se la ragazza di Nicolosi aveva denunciato e sono passati due anni per la prima udienza, è evidente che qualcosa non ha funzionato. I tempi di azione sono importanti: se una donna si affida alla giustizia, perché è vittima di stalking, non può essere lasciata sola. Bisogna proteggere la donna che denuncia».

In Italia c’è un vuoto a sinistra. Gli oppositori interni del Pd hanno capito che a mettersi in proprio rischiano l’estinzione, il resto è disorganico. È così impossibile pensare a uno Tsipras italiano?

«È facile constatare che la situazione che c’è a sinistra del Pd sia di una certa indeterminatezza, in questo momento. Anche gli stessi attori di questa situazione la considerano come provvisoria. Sel, ad esempio, dice da tempo di voler andare oltre, di superare questa esperienza per qualcosa di più ampio. Ma è un po’ improprio pensare di importare dei modelli da altri Paesi. L’Italia non è la Grecia. Tsipras è un leader che ha dimostrato molto senso di responsabilità ma ciascun Paese fa storia a sé. Noi abbiamo anche esperienze sui nostri territori che hanno funzionato bene, dove il Pd ha governato con Sel, come a Milano. Sono buone pratiche sulle quali bisogna investire. Perché non ritengo naturale che la sinistra si divida. Io mi sono candidata con Italia Bene Comune: oggi questa coalizione non c’è più, ma ritengo che non si possa non recuperare i valori che ci tengono comunque uniti, che possiamo condividere».

Il suo libro, “Lo sguardo lontano”, parla di «casa della buona politica». Ma c’è anche un po’ di nostaglia per la Laura Boldrini che viveva fuori dal Palazzo?

«Anche quella di oggi è una Laura Boldrini che sta spesso fuori dal Palazzo. Sto nel Palazzo, fino al venerdì, e poi vado nei territori. Come sto facendo adesso con la Sicilia, così, lo faccio quasi tutti i fine settimana. Il libro racconta il Palazzo con gli occhi di chi ci entra per la prima volta, ma anche molte esperienze fatte fuori, molte storie italiane, molte testimonianze, molte buone pratiche del nostro Paese. C’è anche molta Sicilia». Insomma, non c’è il rischio che – come ha scritto qualcuno – dal 2018 lei diventi la «Pivetti della sinistra». Ha una sua dimensione, a prescindere dalla carica. «Assolutamente sì. Ci mancherebbe altro. Io faccio la vita più normale possibile. Certo, la carica istituzionale in alcuni ambiti ti condiziona. Ma c’è molto di cui occuparsi in questo Paese. Quello che cerco di fare è rilanciare sui grandi temi sociali ascoltando le persone, perché così si recupera il senso della politica. Riportando quei bisogni all’interno dei palazzi».

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