Il teatro non ha pubblico vanno all’asta 150 pupi
Il teatro non ha pubblico vanno all’asta 150 pupi
In vendita 150 pezzi prezioni del Macrì: «Non abbiamo scelta»
ACIREALE Il rumore delle spade che duellano, l’urto degli scudi, i movimenti spezzati, gli scenari d’incanto, la voce roboante, eroica, che fa tuffare tra le dame, i cavalier, le armi, gli amori: l’opera dei pupi è un regno fatato, senza tempo e dentro la storia. Il racconto delle epiche gesta cavalleresche dei paladini di Carlo Magno in lotta contro i saraceni è uno dei simboli più forti della Sicilia, Un teatro antico e ammaliante, di nobile tradizione e radici profonde, il cui eroe fiero e coraggioso, è ridotto spesso, in quest’isola dalla memoria corta, solo a souvenir. Un pezzo di storia che ora va all’asta: oltre 150 pupi siciliani, preziosi reperti storici del Teatro Emanuele Macrì di Acireale alti 1,20 metri, con 280 grandi cartelloni che raffigurano le scene della Chanson de Roland, saranno venduti all’incanto on line il 20 ottobre dalla Galleria Pananti Casa d’Aste Pananti di Firenze. «Abbiamo alzato bandiera bianca – racconta con amarezza al telefono Vincenzo Abbate, 85 anni, imprenditore teatrale, erede e memoria storica della cooperativa Teatro Emanuele Macrì di Acireale – Fino all’anno scorso portavamo in scena ogni domenica pomeriggio lo spettacolo “Storie dei Paladini di Francia a puntate”, ben 323 capitoli, ma non avevamo più molto pubblico. Il biglietto costava 10 euro, certe sere abbiamo incassato 50-70 euro, al massimo avevamo 15 spettatori. Non può bastare a coprire le spese». Così spiega di esser costretto a separarsi dai suoi paladini: «Abbiamo deciso di autofinanziarci vendendo parte dei nostri pezzi. L’unico modo per riguadagnare terreno e continuare a fare spettacoli per le scuole o per gruppi di turisti». I pupi di Acireale sono diversi. «Più piccoli di quelli di Catania e più grandi di quelli di Palermo – spiega Abbate – ma soprattutto sono manovrati su un palcoscenico a 1,20 metri da terra, per dare più profondità alle scene: sembrano attori, personaggi vivi, hanno un movimento più elegante». A Catania resiste la tradizione dei Fratelli Napoli, ad Acireale ci sono altri pupari come Ariosto e Calabretta, l’associazione I Paladini, la cooperativa Turi Grasso, che si è spostata a Capo Mulini; i Vaccaro-Mauceri operano a Siracusa; a Palermo, Mimmo Cuticchio regala emozioni rinnovando in modo straordinario l’arte del cunto e dell’opra. I pupi che andranno all’asta sono alti 1,20 metri a gamba tesa, alcuni sono armati in ottone, la stima è di 4.000-5.000 euro, base d’asta di tutte le figure storiche («li diamo solo ai musei per non disperderli»), mentre quelli più recenti sono stimati tra 1.000-1.500 euro. In vendita anche pupi dell’800, carichi di storia, che hanno danzato migliaia di volte sulle tavole dei teatri del mondo: Angelica, il Sultano Solimano, Armida, il diavolo, i paggi, le regine, le damigelle, i pupi “armati”, paladini e saraceni, il re Aladino, «il più bello, quello che abbiamo sempre messo in locandina: ha tutti i particolari tecnici migliori, tutti i movimenti della bocca, degli occhi, del viso sono perfetti». Il suo teatro dei pupi racconta, è stato fondato nel 1898 da Mariano Pennisi, ultimo discendente d’una famiglia di pupari vaganti, che pur essendo analfabeta, sapeva recitare a memoria l’Orlando furioso e la Gerusalemme liberata. Alla sua morte, la sua arte passò a Emanuele Macrì che aveva salvato dopo il terremoto di Messina, bimbo di una manciata di mesi, figlio di un vecchio amico morto sotto le macerie con la moglie e la famiglia e che aveva allevato come fosse della sua stessa carne sognando di farne un professionista e non un puparo. Ma Emanuele diventa un grande cantastorie e la tradizione cresce e si diffonde. «Dagli anni 50 ho lavorato per organizzare gli spettacoli del maestro Emanuele Macrì e ho continuato dopo la sua morte, nel’74 – ricorda Abbate – Abbiamo girato il mondo, dall’Albania all’Australia, portato l’opera dei pupi in tutti i teatri italiani, prestato i nostri epici combattimenti al cinema e alla tv. Fino al 1970 ci finanziava il ministero dello Spettacolo e potevamo coprire molte spese, sorattutto i contributi previdenziali; dalla Regione – poco e raramente – ci è arrivato qualche sostegno, ma poi addio ai fondi. Già anni fa abbiamo venduto alla Regione un gruppo di pupi che sono ora in mostra nel Museo Opera dei pupi ad Acireale. Ora di nuovo siamo costretti a venderne una parte… Abbiamo un patrimonio enorme di pupi e cartelloni, un magazzino che non possiamo più reggere economicamente». Dalla fine del 2014 la cooperativa non è più nel teatro di via Alessi, dove c’è anche il museo. «Non riusciamo a mantenerlo, il Comune vorrebbe pagato l’affitto del teatro, ma nessuna compagnia è in grado di affrontare queste spese. Così non abbiamo più dei locali dove tenere il materiale, dove programmare spettacoli. La storia a un certo punto ha una fine, l’abbiamo accettato – dice con un pizzico di malinconia – Con la vendita all’asta ci finanzieremo e potremo portare il nostro teatro negli alberghi, nelle parrocchie e nelle scuole, nelle piazze o nelle ambasciate, lì dove ci chiamano per vedere ancora una volta l’opera dei pupi».