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L’astronoma siciliana che in Cile svela i segreti delle antiche galassie

Di Maria Ausilia Boemi |

Da bambina, racconta, sognava di diventare da adulta archeologa o astronauta. E in un certo senso Violette Impellizzeri, 37enne astronoma alcamese, è riuscita a realizzare entrambi i suoi sogni: da astronoma – laurea e dottorato a Bonn, poi tre anni in Virginia negli Usa e da tre anni componente del ristrettissimo gruppo internazionale di scienziati che lavora ad Alma, il più grande radiotelescopio del mondo, ultimato recentemente nel deserto cileno – studia infatti le antichissime galassie, viaggiando, dalla sua postazione, nello spazio, laddove nessun altro occhio umano si è posato. Anche se lei, sorridendo, specifica che «come archeologa pensavo più a qualcosa in stile Indiana Jones. Anche se in realtà un collegamento c’è: mi affascina vedere come era l’universo, da dove veniamo. E noi guardiamo direttamente nel passato dell’universo». Un altro cervello siciliano regalato al resto mondo, quindi, anche se Violette Impellizzeri vorrebbe tornare in Italia: «Ci sono progetti di cui mi parlava una mia amica, pure lei di Alcamo, anche lei astronoma, che sta a Roma: mi diceva che lei è tornata con un progetto per fare rientrare i cervelli in Italia, ma che questo dura soltanto due anni. Dopo non c’è più nulla, sei di nuovo costretto ad andartene».  

In realtà, Violette Impellizzeri all’estero, almeno inizialmente, è andata per scelta: «In Italia – spiega infatti – il corso di laurea in Astronomia esiste solo a Bologna, dove pensavo infatti di andare a studiare. L’alternativa, in Italia, è laurearsi in Fisica e poi specializzarsi in Astronomia. All’epoca si è però presentata l’occasione di andare in Germania per seguire alcuni corsi universitari in inglese: visto che l’ateneo di Bonn è ad altissimo livello ma io non parlavo tedesco, mi è sembrata un’occasione da cogliere al volo. Ho quindi seguito il corso di laurea in Fisica a Bonn, ma con alcune materie di Astronomia sparpagliate durante il percorso di studi. Io sono quindi laureata in Fisica e poi ho fatto il dottorato in Astronomia, sempre a Bonn, al Max-Planck-Institut fuer Radioastronomie, che è un centro di ricerca».  

E lì Violette Impellizzeri balza agli onori della cronaca scientifica mondiale con la scoperta dell’acqua più antica dell’universo, che le vale la pubblicazione su Nature. «Alla fine del dottorato, osservando galassie molto lontane – c’erano molti gruppi che cercavano la stessa cosa e continuano tuttora la ricerca in tal senso -, tentavamo di individuare le molecole primordiali delle galassie antiche, nei momenti in cui si queste formano. E una delle ipotesi è che l’acqua sia una di quelle molecole fondamentali: l’acqua, quindi, non associata soltanto all’origine della vita, ma anche alla composizione della galassia. Cercavamo dunque l’acqua in queste galassie antichissime, in particolare nel cuore della galassia dove c’è un buco nero. E l’abbiamo trovata, a riprova del fatto che l’acqua è uno dei componenti fondamentali all’origine di tutto. La galassia in cui l’abbiamo trovata era molto lontana, si trattava quindi di un’emissione primordiale: e questo fu il motivo per cui pubblicarono la scoperta su Nature».  

Dopo questo successo, continua Violette Impellizzeri, «ho fatto un post dottorato di tre anni al Nrao in Virginia (Usa) con un gruppo molto competitivo che si occupa soltanto di acqua: ma le galassie che osservavamo, in questo caso, erano più vicine, in modo da potere capire meglio le dinamiche. Poi mi è arrivata l’offerta – che si è intrecciata con la mia storia personale e di quello che poi è diventato da un anno mio marito, anche lui astronomo, ma francese, già impegnato nel progetto – di partecipare alla costruzione di Alma, il più grande radiotelescopio al mondo, in cui sono impegnati scienziati europei, americani e giapponesi. Sono quindi venuta qua, vivo a Santiago, anche se contro il volere della mia famiglia, visto che sono dall’altra parte del mondo».  

Un team ristrettissimo sul campo – una decina di scienziati da tutto il mondo (tedeschi, americani, giapponesi, francesi, oltre agli italiani, tra cui spiccano un paio di siciliani, oltre alla dottoressa Impellizzeri, a dimostrazione di come la preparazione scientifica in Italia sia di ottimo livello – «anche se – precisa Violette Impellizzeri – ci sono gruppi in Europa, in Giappone e in America che ci aiutano. È raro, tuttavia, – sottolinea l’astronoma – trovare un dottorato in Fisica da Catania o da Palermo: si tratta di gruppi minuscoli, che però fanno ottima ricerca».  

Quasi pleonastico chiederne le cause: «Dipende dai fondi che ci sono per creare i gruppi. È purtroppo il problema della ricerca in Italia, una questione seria e reale». Che impedisce, tra l’altro, ai cervelli in fuga di tornare: «Dopo il dottorato e anche dopo il periodo in America sarei tornata molto volentieri in Italia, in qualunque posto (a Roma, a Bologna, a Cagliari, dove ci sono i gruppi che fanno le mie stesse ricerche), ma non ci sono posti. La preparazione italiana è ottima a livello internazionale e una piccola esperienza all’estero ci sta bene, perché ti forma, ti fa conoscere altri gruppi all’estero e altri modi di lavorare. Però ci deve essere poi un modo di tornare, per consentire all’Italia di riprendersi questi talenti».  

Non per questo bisogna tuttavia scoraggiarsi: «In tal senso è importantissimo – sottolinea la dottoressa Impellizzeri – il ruolo dei mass media, perché più interesse c’è sulla ricerca, più occasioni si creano. Il consiglio che darei poi ai giovani è comunque di provare a essere sempre ottimisti, di crederci e di credere soprattutto nella ricerca, nella scienza, che è la cosa più importante». Un consiglio che forse, più che ai giovani, si dovrebbe rivolgere ai politici italiani che alla ricerca non sembrano credere molto: «Sì, perché purtroppo la ricerca non dà frutti immediati, bisogna essere capaci di avere una visione verso il futuro e questa visione molti politici – non solo in Italia, ma in tutto il mondo – spesso non ce l’hanno. I tagli in questo settore, infatti, ci sono ovunque: quando c’è la crisi, le prime cose che vengono tagliate sono la ricerca, la scienza e l’arte. Invece non mi stancherò mai di sottolineare abbastanza l’importanza della scienza per un Paese. E vorrei incoraggiare i giovani a fare scienza: che sia astronomia, biologia o qualsiasi altra branchia».  

Scienza, quindi, fondamentale: ma qual è la spinta alla ricerca per un astronomo? «Io credo che dietro qualsiasi ricerca di astronomia c’è una ricerca della vita: facciamo piccoli passi in tante piccole direzioni, ma tutte conducono sempre a questo interesse. Di base c’è quello: capire da dove veniamo, chi siamo, come siamo arrivati fin qua. Poi ci sono colleghi che lo studiano in maniera più diretta: cercano pianeti, atmosfere simili a quelle della Terra in cui ci potrebbe essere vita. Anche recentemente l’atterraggio della sonda Rosetta sull’asteroide è stato spettacolare e siamo rimasti tutti col fiato sospeso. Lì si cerca direttamente la vita, perché si pensa che la vita sulla Terra abbia avuto origine da queste comete che bombardavano il pianeta».  

Ma essere donna ha rappresentato un handicap, un problema nel suo campo? «È una domanda importante da fare. Credo di sì: quando ero studentessa mi meravigliavo, anzi quasi mi infastidivo quando mi facevano una simile domanda. Trovavo inconcepibile pensare di dovere essere svantaggiata in quanto donna. Però, andando avanti e facendo “carriera” o volendo fare carriera e lavorando con tanti uomini, mi sono accorta che i lavori importanti finiscono sempre a loro. Non si capisce perché, ma è una realtà sottotraccia fatta di tante piccole battutine, tanti piccoli pregiudizi. Nel campo della scienza, poi, ci portiamo dentro sin da bambine il pregiudizio, inculcato a scuola, che la scienza e la matematica appartengono agli uomini e che noi non siamo brave per natura. È un pregiudizio che ancora sopravvive anche ad alti livelli». E non è un problema italiano, meno che mai del Meridione: «L’ho riscontrato in tutti i Paesi in cui ho lavorato. Sono segnali impercettibili, sottotraccia. Ma purtroppo ci sono: per questo voglio incoraggiare le ragazzine a credere nelle loro capacità scientifiche. La scienza e la matematica non sono assolutamente cose da uomini».  

Rimpianti o nostalgie? «Nostalgia infinita della Sicilia – sottolinea in una struggente dichiarazione d’amore per la propria terra la dottoressa Impellizzeri -. Sono incinta, il prossimo anno speriamo di venire col pargolo a farci il bagno. Ho nostalgia del mare». Anche se in Cile, le si fa notare, il mare c’è: «Sì, c’è l’oceano, ma è freddo, nero e brutto. E anche in Francia, la terra di mio marito, la Costa Azzurra è bella, ma non è la stessa cosa del mare di Sicilia».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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