Il dossier sulle bonifiche industriali
Il dossier sulle bonifiche industriali ”Dove sono finiti 77,5 milioni di euro?”
Esposti a Procura, Corte conti e Ue su Milazzo, Gela e Siracusa
Se di mezzo non ci fossero vent’anni segnati da morti “grigie” e malati di tumore, sarebbe soltanto (si fa per dire) l’ennesimo scandalo siciliano. Ma c’è ben altro, dietro alla mancata bonifica delle aree industriali di Siracusa, Gela e Valle del Mela, un buco nero che negli anni ha fagocitato oltre 70 milioni di euro. Fra pesanti responsabilità politiche, ma anche una collezione di ipotesi di reati, dei quali almeno tre Procure siciliane si occupano da qualche anno. Nell’Isola che rincorre i disordinati brandelli del sogno incartapecorito dell’epopea industriale, pur di piazzare qualche flebo globalizzata al capezzale dell’emorragia di posti di lavoro, la notizia è che ancora ci sono centinaia di persone – comitati, associazioni, movimenti politici, ma anche singoli cittadini – che non si rassegnano al fatto che gli scempi sul territorio e sulla salute nell’Isola restino un ammasso di scartoffie. Sepolte da una polvere che uccide la speranza di conoscere la verità. Ovvero: che fine hanno fatto i soldi delle bonifiche industriali in Sicilia? Visto che la storia comincia nel 1995 si parla di 140 miliardi di lire, che in un ventennio sono stati convertiti (ma non spesi) in euro. La denuncia di un nutrito gruppo di associazioni è destinata a prefetti, assessori regionali, sindaci, commissioni parlamentari, Asp, ma soprattutto a Procure, compresa l’Antimafia, oltre che a Corte dei Conti e Ue. Poco meno di 20 anni fa, infatti, arrivò il primo stanziamento di fondi per le cosiddette “Aree ad Elevato Rischio di crisi Ambientale”: 100 miliardi di lire per Siracusa, Priolo, Melilli, Augusta, Floridia e Solarino; 40 miliardi per Gela, Butera e Niscemi. I fondi per la Valle del Mela (Condrò, Gualtieri Sicaminò, Milazzo, Pace del Mela, San Filippo del Mela, Santa Lucia del Mela, San Pier Niceto) saranno assegnati in seguito, dopo il riconoscimento regionale di area a rischio nel 2002, ma con la medesima sorte: 7,5 milioni di euro ma «nulla è dato sapere» in merito a utilizzo, disponibilità residue, interventi effettuati e risultati. Il cartello di movimenti, dove l’unica presenza politica è quella del Movimento 5 Stelle, ripercorre – carte alla mano – la “tracciabilità” di fondi e omissioni. Dei 140 miliardi di lire fino al 1999 «venivano sostenute soltanto spese per il funzionamento dei comitati di coordinamento e delle relative segreterie». Finché, il 21 luglio del 2000, il ministero dell’Interno tolse ogni potere alla Regione e nominò i prefetti di Siracusa e Caltanissetta commissari delegati, ai quali vennero trasferite le somme in apposite contabilità speciali. Al 31 dicembre 2004, scaduti i termini ministeriali, queste le somme erogate dall’assessorato regionale al Territorio e ambiente: 30.829.827,35 euro al commissario delegato di Siracusa; 8.263.310,38 al commissario delegato di Caltanissetta; circa 875mila e 140mila euro ai Comitati di coordinamente rispettivamente di Siracusa e di Caltanissetta; 68.238,87 euro al Comune di Siracusa. In tutto poco più di 40 milioni, con una disponibilità residua di 19,8 milioni per l’area aretusea e di 11,8 milioni per quella gelese. A queste somme, ricordano i comitati, si aggiungono due finanziamenti dei Por di 35,3 e 35 milioni di euro all’Arpa. La palla passò di nuovo all’assessorato regionale: nel 2005 venne istituito l’Ufficio speciale “Aree ad elevato rischio ambientale” che centralizza poteri e strumenti di commissari, comitati ed enti locali. Una struttura soppressa nel 2009 con una resa istituzionale, a causa della «vastità e complessità delle problematiche ambientali dei territori ricadenti nelle Aree». Nel 2011 si resuscitò, col nome di “Sportello unico per il risanamento”, il vecchio ufficio speciale, «sempre sotto la direzione dello stesso dirigente», fino alla definitiva rottamazione, il 31 dicembre 2012, a cui seguirono notizie su un’indagine della Procura di Catania. Che non è l’unica a essersi occupata di questa storia. I colleghi magistrati di Palermo, ad esempio, scoprirono che il “Piano regionale di coordinamento per la tutela della qualità dell’aria e dell’ambiente”, redatto dall’assessorato siciliano, era un selvaggio copia&incolla del medesimo strumento della Regione Veneto. Le associazioni ricordano «la condanna del Tribunale di Palermo a un anno e 8 mesi nei confronti del dirigente responsabile della sua redazione», ma segnalano anche, «incredibile ma vero», che il Piano «figura ancora nel sito web dell’Arta come documento/strumento di programmazione istituzionale». Poca roba, se paragonata ai due governatori (Cuffaro e Lombardo) e ai quattro assessori al Territorio (Cascio, Interlandi, Sorbello e Di Mauro) «sotto processo per omessi interventi antismog». Ma l’input più forte dei comitati è indirizzato ai magistrati di Siracusa, dove a fine ottobre il procuratore capo, Francesco Paolo Giordano, ha ufficializzato una serie di inchieste sul filone ambientale. Che, oltre al legame fra inquinamento e morti, potranno pure raccontare cosa s’è fatto con i soldi dei Piani ufficialmente spesi e che n’è stato dei fondi rimasti nelle tre aree industriali. Una specie di cold case, perché in vent’anni – fra carte insabbiate e rimpallo di responsabilità – tutto è cambiato. Ma, talvolta, basta un dettaglio per risolvere i casi impossibili.