Ritorna lo spettro della recessione
Ritorna lo spettro della recessione
C’è da essere preoccupati, molto preoccupati. Non solo perché i dati economici sono talmente negativi da spezzare i sogni di ripresa anche dei più inguaribili ottimisti, ma soprattutto perché, mentre la positiva congiuntura internazionale a cui ci siamo aggrappati in questi mesi sembra volgere al termine, la speculazione potrebbe tornare a colpire. Come dimostrano le cadute dei corsi di Borsa e il ritorno dello spread in zona 180 punti, il che vuol dire un rendimento per i Btp decennali del 2,9%, lo stesso del 2012. La brutte notizie arrivano in sequenza. Per maggio l’Istat ha certificato il peggior risultato della produzione industriale da novembre 2012, con un calo dell’1,2% su aprile (dell’1,5% per il manifatturiero puro) e dell’1,8% sull’anno precedente. Anche di fronte alla crescita dello 0,7% di aprile, nel primo trimestre la caduta era stata dello 0,9%. Insomma, il trend negativo prosegue e non è certo così che si può recuperare quel 24,6% di capacità produttiva andata distrutta dall’inizio della crisi. Il nostro è un andamento, dice l’Istat, “negativo al di là delle previsioni”. E se questo peggioramento è evidente in confronto alle stime dell’istituto di statistica – che per il 2014 ipotizza una crescita del pil intorno allo 0,4% – cosa si dovrebbe dire rispetto a quelle del governo, che prevedono un ormai impossibile +0,8%? Anzi, se dopo il primo trimestre negativo (-0,1%) anche il secondo avesse il segno meno – per l’Istat la forbice è tra +0,3 e -0,1% – avremmo il nostro ritorno ufficiale in recessione. In ogni caso, anche conquistando qualche decimo di punto da qui a fine anno, ci saranno almeno due problemi: da una parte, con una crescita dimezzata, il deficit programmato nel Def al 2,6% arriverà troppo al limite del 3% per non prendere nemmeno in considerazione, come si continua a ribadire, l’ipotesi di una manovra correttiva, anche perché ci sono coperture di spesa ancora da trovare; dall’altra, con questo ritmo, servirebbero quasi 20 anni per recuperare i 9,4 punti di pil bruciati dal 2008 a oggi. E non consolano nemmeno i dati sugli investimenti, ridotti negli stessi anni complessivamente del 25,6%. Ma come se non bastasse essere ad un passo dalla recessione, avere di fronte lo spettro della deflazione e di una disoccupazione crescente, ecco che incombono i problemi altrui e il mutamento del clima dei mercati finanziari. Infatti, la produzione industriale di maggio è caduta, in modo totalmente inatteso, anche in Germania e Francia (- 1,8%). Dopo la corsa agli sportelli delle banche per ritirare il denaro in Bulgaria, i mercati sono andati in tilt anche per le difficoltà dell’istituto portoghese Espírito Santo e di quello austriaco Erste Bank, cui ha fatto da detonatore il moltiplicarsi delle tensioni geopolitiche (Iraq, Siria, Ucraina, Gaza, fino allo scontro Germania-Usa sullo “spionaggio”). In più, si avvicina il momento in cui la Fed chiuderà del tutto i rubinetti con cui ha immesso liquidità nel sistema, con il conseguente rialzo dei tassi americani e la migrazione dei capitali. Insomma, la tanto decantata finestra internazionale aperta sull’Italia potrebbe chiudersi a breve, e i primi segnali si vedono a Piazza Affari, che dopo essere stata la migliore Borsa in Europa nell’ultimo mese ha perso l’8,5%. Insomma, se c’è ancora qualcuno che sostiene che siamo alla #svoltabuona, sarà bene che si ravveda in fretta.