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Gino Paoli: «Io, Louis Armstrong e l’amore folle per il jazz»

Di Salvo Pistoia |

Lasciare un segno con la propria opera, al di là del tempo, delle mode, delle generazioni. Nonostante tutte le contraddizioni immaginabili, Gino Paoli, in concerto sabato 5 agosto a Zafferana Etnea, con la sua voce, le sue storie da raccontare, i suoi personaggi indecifrabili, ha ricamato un tassello ben preciso e chiaro nella storia della canzone italiana. Superfluo menzionare il suo repertorio, i suo classici, le hit, probabilmente più interessante narrare dei momenti di stanca, delle risalite, delle scommesse lunghe una vita.

L’ultima, in ordine di tempo, vede sfidare se stesso sul territorio del jazz, un’area non immune da ostacoli e intemperie.Sia chiaro, la scommessa risulta vincente, insieme a quel dispensatore di energia ed eleganza, che risponde al nome di Danilo Rea, cui si è aggiunto recentemente, un adulatore della canzone jazz, Sergio Cammariere.

Il jazz quanto importanza ha avuto nella tua vita?Ho iniziato ad ascoltare jazz a dodici anni. Davanti casa mia sostavano i carri armati americani, ascoltare la tromba di Louis Armstrong, fu un colpo di fulmine. Il jazz mi ha accompagnato nella vita, influenzando fase melodica ed armonica nella costruzione dei brani.

Un progetto per pochi e selezionati, si è trasformato in un must. Che affinità hai trovato con Danilo Rea prima, e Sergio Cammariere dopo?Con Danilo vige una magica complicità, siamo “una coppia di fatto”. Sergio l’ho conosciuto mentre lavorava con Alex Britti. Ascoltando un pezzo in cui si sentiva piccolino nei confronti di Gino Paoli, ho intuito potesse nascere qualcosa di buono dalla nostra simbiosi.

In questi giorni, si è consumato il Modena Park. Da “quattro amici al bar”, alla marea infinita di pubblico. La tua considerazione sul percorso di Vasco?Vasco è un trasgressore, come lo ero e come mi ritengo di esserlo. Una persona che va controcorrente, che affronta la vita infischiandosene di mode e tendenze. Tra le sue canzoni, sento molto vicina “Vita spericolata”, abbiamo posizioni umane e premesse abbastanza vicine

Anni fa, affermavi che il più geniale e giovane talento italiano si chiamava Lucio Dalla. Stessa opinione quella odierna?Quando ho costretto Lucio a cantare, sapevo qualunque cosa avesse fatto, del suo straordinario talento. Importante riconoscere il talento, non seguire la chimera del più o meno bravo. L’ho conosciuto nel ’63 al Cantagiro, era il clarinettista dei Flippers. Ci scommisi sopra,una sera in un locale di Bologna, mentre cantava con lo stile scatt jazz

Stai registrando nuovo materiale, un accenno.Al momento sto lavorando ad un nuovo disco di inediti, sono in piena fase di scrittura.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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